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NOVELLA X 415 occulto trattato contra l’imperadore e che il pittore ne fosse consapevole. Il perché fattolo a sé chiamare, diligentemente cominciò ad essaminarlo e domandargli a che fine aveva dette quelle parole latine. Egli che non credeva esser stato sentito e vedeva che il negarle non ci aveva luogo, da subito conseglio aiutato, con un buon viso rispose: — Signore, io vi confesso aver dette le parole che mi ricercate e le dico anco di bel nuovo, che quelle insegne non dureranno. Sapete voi perché? Perché ho avuti tristi colori che a l'aria e a la pioggia non reggeranno. — Piacque mirabilmente la pronta risposta al conte, ed in effetto pensò che a cotal fine qual narrato aveva, il pittore le parole puramente dette avesse, e più innanzi non investigò il fatto. Ché ancora che trattato contra gli imperiali non ci fosse, nondimeno il sagace pittore disse le parole, come agli amici affermava, con salda speranza che i veneziani devessero ricuperar la città e far levar via l’aquila con l’insegna d’Austria, come non dopo molto fu fatto. Vi par egli che al bisogno si sapesse schermire e che molto galantemente si salvasse? Egli seppe si ben fare e di modo governarsi che del conte divenne molto domestico e ne traeva assai profitto. Ma vegnamo a parlar del signor Pietro Bembo, la cui novella sarà molto più festevole e da ridere ed io meglio ve la saperò contare, perché la cosa fu in casa nostra ed io vi fui presente, e vi fu anco il nostro Fracastore che ebbe la parte sua de la beffa. Non accade che con ambito di parole a voi tutti che qui séte io m’affatichi a voler dar a conoscere che personaggio si sia il signor Pietro Bembo, essend’egli per le sue rare ed eccellentissime doti ed opere ne l’una e l’altra lingua composte e stampate a tutta cristianità notissimo. Questo vi dirò ben io esser sua consuetudine, per l’amicizia che ha con noi che suoi ospiti siamo, ogni volta che viene a Verona venirsene domesticamente a smontar in casa nostra, ove tanto v'alberga con i suoi che vengono seco quanto gli piace dimorar ne la città, e con noi diportarsi nei luoghi nostri di Valle Policella e di Pantena, come noi volgarmente diciamo, ove ai nostri poderi gli doniamo quegli onesti piaceri che la stagion comporta ed il luogo ci può dare. Vi venne egli una