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270 PARTE PRIMA erano stati. Come Corrado vide quelli che i fratelli gli avevano uccisi, da fierissimo sdegno acceso, il padre del castellano con le proprie mani ammazzò e in mille pezzi fattolo dividere, il fece per cibo dar ai cani. Tutti gli altri crudelmente furono morti, perciò che alcuni vivi a coda di cavalli furono per sassi, per spine e fossi tirati, lasciando or qua or là le lacerate carni. Altri con affocate tenaglie spolpati ed arsi, altri in quattro quarti vivi divisi ed altri, in cuoio di buoi nudi posti, furono fino al mento interrati. Era stato, ne l’entrar che per forza in ròcca si fece, liberato il duca di Camerino con gli altri incarcerati. Il castellano salito sovra de la torre, poi che vide al fatto suo non esser scampo, avendo già visto il crudo strazio che di suo padre e d'alcuni altri fatto s'era, a ciò che da ogni banda vendicato morisse, legate le mani a la bella moglie, quella gridante mercé da l'alta torre gettò in terra, la quale tutta si disfece e mori subito. Né guari stette che vinto dal fumo che Braccio fatto far aveva, fu dai bracceschi preso ed insieme con i figliuoli e fratello da l’alta torre, come de la moglie fatto il crudel aveva, a terra precipitato. Corrado di questo non contento, fece ai corpi loro mille vitupèri fare e comandò che insepolti restassero per esca di corbi. Fece poi seppellire le reliquie dei dui fratelli e volle anco che a la donna fosse dato sepoltura. A cosi miserando adunque fine l’amore di Niccolò e l’ira del castellano sé ed altrui, come udito avete, condusse; onde si può bene la mia istoria con tre versi del nostro gentilissimo poeta conchiudere: Ira è breve furor, e chi noi frena, è furor lungo, che ’1 suo possessore spesso a vergogna e talor mena a morte.