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242 PARTE PRIMA mie novelle ho accompagnata, non m’essendo uscito di niente quanto volentieri quando eravamo insieme leggevate le cose mie. Questa novella ch’io vi mando non è molto che in una onorevol compagnia, ragionandosi de le beffe che fanno le donne ai lor mariti, fu narrata da messer Scipione Pepolo, disceso da messer Giovanni Pepolo dal quale il signor Bernabò Vesconte per molte migliaia di ducati comprò Bologna in quei tempi che la Chiesa romana risedeva in Avignone. Essa adunque novella al nome vostro scrivo e consacro come frutto nato da uno che è tutto vostro. State sano. NOVELLA LIII Beffa fatta da un contadino a la padrona e da lei al vecchio marito che era gelosio con certi argomenti ridicoli. Infiniti veramente son quei modi che le donne usando quando non ben contente di quel di casa che loro non pare a sufficienza, ricercali di fuora via proveder ai casi loro; infiniti, dico, sono i modi con che i mariti si trovano ingannati. E ben che ciò che io ora vi vo’ dire possa esser stato da voi inteso, nondimeno ove egli sia avvenuto non intendeste forse già mai. Il che intendo io ora di dirvi se m’ascoltarete, come ho fede in voi, portando ferma openione che il mio dire vi porgerà diletto. Devete adunque sapere che al tempo del glorioso duca di Milano il duca Filippo Vesconte, fu in Pavia una giovane de la famiglia de’ Fornari, che fu maritata in un messer Giovanni Botticella dottore che era d'età di cinquanta anni e più; il quale essendo molto savio per lettera, perché era legista famoso e dottissimo, a me pare che per volgare si fosse mostrato molto pazzo, entrando in quella età nel farnetico di prender moglie e pigliarla giovane di meno di vent'anni. Ma se i savi talora non errassero, i pazzi si disperarebbero. Era la giovane, che Cornelia aveva nome, assai appariscente, con viso assai bello e ben fatto, se ben non era il più angelico del mondo; ma tanto era piacevole e baldanzosa e tanto ardita che più esser non poteva. Del che messer lo dottore in breve