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NOVELLA XLIX 207 che avuta questa nuova il vennero a visitare. Si condolsero tutti seco de la prigionia e si rallegrarono che fuori ne fosse uscito. Poi si scusarono di non l’aver aiutato nel pagar de la condan- nagione e gli dissero i rispetti che ritenuti gli avevano. Avendo già Carlo da la sorella inteso che ell'a niente sapeva de la liberazione di lui né chi si fosse che la pena aveva pagato, e ora intendendo nessuno di quelli che venuti erano a visitarlo esser stato il pagatore, restò tutto pieno di grandissima meraviglia, aspettando con il maggior desiderio del mondo il nuovo giorno per saper chi pagata la pena avesse e a cui di tanto beneficio restava ubligato. Venuto il seguente giorno, come fu aperta la camera de l’ufficio del camerlingato egli colà si trasferì, e trovato il camerlingo che alora in camera entrava, dopo l’averlo amichevolmente salutato lo domandò chi fosse stato il pagatore dei mille fiorini in cui egli era da la Signoria condannato. Il camerlingo cosi gli rispose: — Carlo, tu saperai che iersera tra le ventitré e ventiquattro ore venne qui a trovarmi Anseimo di messer Salimbene e pagò per te mille ducati d’oro, e mi richiese che io gli facessi la cédula de la tua liberazione, il che subitamente io feci. E di più ti vo’ dire che volendogli io restituire il sovra più dei mille fiorini, non lo volle. Se tu ora lo vuoi, io son presto a darloti molto volentieri, avvisandoti che ancora non ho scritto la somma del tuo pagamento, pensando che tu il devessi volere. Bene iersera acconciai la tua ragione. — Carlo sentendo questo disse che altrimenti non voleva l’avantaggio dei mille ducati e che scrivesse pure come mille ducati d’oro pagati s’erano. Ringraziatolo poi de le sue offerte, da lui si parti e a casa se ne tornò. Quivi pensando e ripensando a la cortesia e liberalità del Salimbene ed investigando tra sé chi mosso l’avesse ad usar cotanta generosità, sapendo l’antica e crudel nemicizia che tra’ Salimbeni e Montanini con tanto spargimento di sangue era durata, non sapeva che cosa imaginarsi né che si dire. Profondandosi poi senza fine nei pensieri e minutamente tutte l’azioni d’Anselmo essaminando, e conoscendo che non ci era merito nessuno dal canto suo verso lui, gli sovvenne che talvolta l’aveva veduto