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PARTE PRIMA Bartolomea Calora in ricompensa di molti benefìci da lei ricevuti, per questa cedula scritta e sottoscritta di mia mano di nuovo faccio detta donazione e la confermo, e voglio che senza impedimento alcuno abbia luogo. — Questo scritto egli ritenne ne la mano sinistra. Fece poi il terzo bollettino che diceva cosi: — Morendo io di propria voglia e a la morte non essendo da nessuno astretto se non dal mio volere, prego mia madre e tutti i miei parenti ed amici che non cerchino de la mia morte far contra persona che sia vendetta, perché nessuno ci ha colpa se non io solo che per amore ho voluto darmi la morte. — Questo bollettino egli si mise in bocca da quel capo ove niente era scritto. Erano tutti tre i bollettini sottoscritti col suo nome e col di, mese ed anno che furono fatti, che fu del millecinquecentoventi. Ordinati gli scritti, prese le sue cinture de le calze e la cinta de la spada che a lato portava, e di quelle fece un laccio, il capo del quale attaccò ad un chiodo che pendeva fuor d’un trave, essendo salito suso un alto cascione, e il laccio si annodò al collo e lasciossi giù cadere, di modo che il collo al misero amante si fiaccò. La donna poi che gran pezza stette e vide che l’amante secondo il solito non riveniva, disse ad una sua fanticella: — Tu! va’, vedi ciò che fa quel pazzo e dilli che venga qua. — Andò la fante e trovò chiusa la camera e picchiò due e tre volte. La Calora sentendo picchiare disse: — Egli bisogna che io vada, — e giunta a l’uscio, bussato buona pezza e chiamato l’amico molte fiate per nome, sapendo la chiave esser ne la camera fece chiamar i servidori di casa, dubitando de l’amante e quasi presaga del suo male. L’uscio fu crollato due e tre volte per levarlo di gangheri. In questo arrivò il marito de la donna e sovra- venne anco un servidore del Totto. Fu gettata la porta a terra, e nel cadere di quella apparve il misero ed orrendo spettacolo del giovine che fiaccatosi il collo da la trave pendeva. 11 perché, senza fine tutti spaventati e smarriti, non ebbero ardire d'entrar dentro. Fu mandato a chiamar la madre e sorella ed altri parenti del disgraziato ed infelicissimo giovine ed anco avvisato messer Francesco Guicciardino, che a nome di Leone decimo pontefice massimo era governatore di Modena. Venne il Guicciardino e fu