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NOVELLA XLI III in una medesima cosa a me doni la vita e di quella mi spogli? Non mi donò egli la vita essendomi stato la verissima cagione di farmi andar a Cirta, ove la vita mia che è la bellissima Sofonisba ritrovai? E senza lei, lasso me, che fora starmi in questa angoscia e penace vita? Ma, misero me, non mi spoglia egli de la vita e la morte mi dona volendo Sofonisba in suo potere? Oimè, perché subito dopo che Siface fu preso non andò egli in Italia, od almeno perché non si ridusse in Sicilia? Perché non menò egli Siface a Roma a presentar cosi glorioso spettacolo del re de la Numidia al suo popolo romano? Se Scipione qui non fosse, tu, Sofonisba, liberamente mia rimarresti, perciò che con Lelio averei trovato mezzo di salvarti. Ma certamente, se Scipione vedesse una volta Sofonisba e un poco piegasse gli occhi a la sua incredibil bellezza, io non dubito punto che egli di lei e di me non si movesse a compassione e non giudicasse che ella meritasse restar reina non solamente di Numidia ma d’ogn’al- tra provincia. Or che so io se egli la vedesse che di lei non s’innamorasse e per sé quella togliesse? Egli è pur uomo come gli altri, ed impossibil mi pare che a si fatta beltà non intenerisse quella durezza de l'animo suo. Ma oimè, che parlo? che vaneggio? Veramente io m'aweggio bene che, come proverbialmente si dice, io canto a’sordi, e a’ciechi voglio insegnar che cosa siano i colori e come distinti, ed eglino che son nati ciechi come impareranno? Misero me e dei miseri il più misero! Ecco che Scipione domanda Sofonisba come cosa appartenente a lui, perciò che disse quella esser preda e parte de le spoglie dei soldati romani. Che debbo fare? darò io Sofonisba a Scipione? Egli la vuole, egli mi costringe, egli essorta e mi prega; ma io so bene quanto in me ponno l'essortazioni sue e sotto le preghiere che cosa giace. Adunque io Sofonisba in sue mani metterò? Ma prima il sommo Giove le sue fiammeggianti saette in me dirizzi e nel profondo de l’inferno mi folgori, prima s'apra la terra e m’inghiotta, prima sia il corpo mio a brano a brano in mille pezzi stracciato e divenga cibo di fere selvagge ed esca di corbi ed avoltori, che io mai tanta e si empia sceleraggine commetta e rompa la fede che con giuramento ho promessa. Oimè, che