messa in ordine di vestimenti, di gemme, d’anella, di collane e d’altri simili gioielli, la notte anco la trattava tanto bene, che poche erano meglio di lei maritate. Circa dui anni adunque perseverò Angravalle a mostrarsi con lei sempre piú fresco e valente cavaliero; ma egli non pensava che tolto aveva a pascer un animale che di cotal cibo non si sazia giá mai, anzi quanto piú se ne ciba e ne mangia, tanto piú ne appetisce e brama, a cui il voler poi le spese sminuire è sovente di molti scandali cagione. Passati adunque i dui anni, o che ella gli venisse a noia, o che egli fosse de la persona mal disposto, o che si trovasse cosí tratto il bambagio del farsetto, che, pien di freddo, d’ova fresche e di malvagía avesse piú bisogno che di dar beccar a l’oca, cominciò, che che se ne fosse cagione, a porre al suo corrente cavallo un duro freno e ad allentargli in modo il corso, che con grandissimo dispiacer di Bindoccia a pena correva due o tre, a la piú, poste il mese. Oltre a questo, sapendo ch’era stata da molti seguita, cosí ne divenne geloso, come se veduto avesse qualche cattivo atto in lei. Egli primeramente perché la vedeva bellissima, pensava che ciascuno ne fosse innamorato e ch’ella altresí con tutti a l’amor facesse, e conoscendosi non le far il debito nel letto, come era solito, dubitò che ella altrove non si provedesse d’ortolani che il di lei giardino coltivassero. Per questo le tolse tutte quelle donne che in casa teneva e le mandò via; diede medesimamente congedo a tutti i servidori di casa, un solo di cui si fidava tenendone, che era un mascalzone ruvido e villano, il quale la mula governava e faceva la cucina. Prese poi una mutola e sorda per fantesca, ma tanto inetta ch’era da niente, assicurandosi che ella non riceverebbe né riportarebbe ambasciate. Ogni cosa anco che Bindoccia taceva, egli diligentissimamente osservava, e per levar l’occasione che nessuno per casa gli andasse trescando, lasciò tutte le pratiche dei gentiluomini con i quali prima soleva praticare. Aveva solamente un suo fedelissimo compagno, giovine di ventidui anni, che Niceno era nomato, col quale il piú del tempo si dimorava. E perché era primo cugino d’una cugina di sua moglie, e