a cui non è lecito contradire, e che nel viaggio e dopo che era a Forlì arrivato aveva inteso tanti enormi peccati e vituperose maniere dei forlivesi, che gli pareva non esser venuto a predicar a cristiani, ma a mori e a turchi. — La cagione adunque per cui mandato sono qui è per disbarbare e svelgere i cattivi e scelerati costumi, e con l’aiuto di Dio seminarvi i buoni ed accendervi tutti ne la carità del signor nostro messer Giesu Cristo e farvi del tutto con buon modo cangiar vita. Per questo avverrà che spesse fiate riprendendo le vostre sceleraggini sarò costretto a dire che voi séte bestemmiatori, ladri, assassini ed i maggior ribaldi del mondo. Quello ch’io dirò tutto sarà detto a buon fine. Similmente quando io dirò che voi séte usurari, adulteri, concubinari, invidiosi, iracondi, golosi, seminatori di risse e di discordie, nodritori di guerre civili, nemici del ben publico, parziali, omicidiari e peggio che giudei, non vi devete adirare, ma pensare che io il tutto dirò a buon fine. — E molte altre cose simili rammentando, diceva pure che il tutto diria a buon fine. Era a la predicazione un ricco cittadino che dirimpetto al pergamo sedeva, il quale aveva nome Buonfine. Questo, pensando che il frate a lui volesse solamente predicare e non agli altri, perché era molto semplice, si levò in piede e discopertosi il capo disse al predicatore: — Padre, aspettate e non andate più innanzi. A me pare che l’onestà e il debito voglia che voi predichiate a tutto il popolo e non a me solo. Dite pur anco a Berlinguccio, a Naldino, a ser Nicola Miglietti, a lo Sterlino e a ser Simone, che sono quelli che governano il commune ed hanno in queste cose più a fare che non ho io. — E dicendo alcuni che tacesse e per nome appellandolo, il frate, conosciuta la semplicità di messer Buonfine, gli disse che non dubitasse che a tutti darebbe la parte loro. E cosi andò dietro al suo sermone, e il nostro ser Buonfine fu cagione che tutto il popolo del suo sciocco parlare si ridesse senza fine.