a ciò che l’opere vertuose e lodevoli possa onorare e i vizi punire; altrimenti non re o prencipe, ma perfido tiranno si deverebbe chiamare. Il perché avendo io nel morto falcone conosciuta una generositá e grandezza d’animo accompagnata da fiera gagliardia, quella con corona di finissim’oro ho voluto onorar e guiderdonare, ché avendo egli cosí animosamente un’aquila uccisa, degno fu che tanta animositá e prodezza fosse premiata; ma considerato poi ch’audacemente, anzi pur con temeritá, la sua reina aveva assalita e morta, convenevol cosa m’è parso che la debita pena di tanta sceleratezza ne ricevesse, ché mai non è lecito al servidore le mani insanguinar nel sangue del suo signore. Avendo adunque il falcone la sua e di tutti gli augelli reina ammazzata, chi sará che ragionevolmente possa biasimarmi, se io il capo gli ho fatto troncare? Veramente, che io mi creda, nessuno. — Questo giudicio allegarono i signori giudici, quando diedero la sentenza ch’Ariabarzane fosse decapitato. E cosí conforme a quello ordinarono che prima Ariabarzane per la sua magnanimitá e liberal cortesia fosse coronato d’una corona d’alloro, a ciò che s’avesse riguardo al generoso animo di quello; ma che avendo egli con tanta emulazione, con tanto studio, con sí assidua industria e con ogni sforzo voluto contender col suo re e di par liberalitá anzi maggior seco giostrare e farsegli superiore, e piú di lui farsi liberal e magnanimo conoscere, e di piú avendo egli contra quel mormorato, che per questo gli fosse tagliata la testa. Avvertito Ariabarzane de la severa sua condannazione, con quella grandezza d’animo questo velenoso stral di fortuna sostenne, che gli altri colpi di contraria e nemica fortuna aveva sopportati, e di maniera si diportava e conteneva, che segno in lui di malinconia o di disperazione non si vide. Solamente con allegro viso a la presenza di molti disse: — Questo solo ultimamente mi restava, che io al mio signore de la vita e proprio sangue liberal divenissi. Il che farò molto volentieri e di modo che il mondo conoscerá che prima posso morire che mancar de la mia solita liberalitá. — Fattosi dunque chiamar il notaio, fece il suo testamento, ché cosí permettevano le leggi di Persia, e a la moglie e a le figliuole accresciute le