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novella xxvii 363

avevano morto una lepre, e pensò che quella devesse esser la signora del castello. La donna veggendo il cavaliero, che a l’abito e al cavallo le parve persona onorata, e conoscendo che il cavallo vinto da stracchezza non poteva caminare, mandò uno dei suoi a spiar chi fosse. E inteso chi era, gli andò incontro e molto cortesemente lo raccolse e mostrò aver molto caro averlo veduto, per la buona fama che di lui e del suo valore aveva sentito, ed anco per rispetto de la madre, con la quale teneva buona amicizia essendo insieme confinanti. Egli era già sera, onde invitarono don Diego a restar con loro la notte, e mandarono subito uno che andasse ad avvertir la madre di lui a ciò che non lo veggendo ritornar quella notte a casa non stesse di mala voglia. Don Diego, basciate le mani a la madre ed a la figliuola, molto le ringraziò de la lor cortesia ed accettò l'invito. E cosi di brigata s’inviarono verso il castello de le donne, avendo elle fatto dar a don Diego un cavallo e menar a mano il suo giannetto, che era fuor di lena. Ne l'andare entrarono in diversi ragionamenti e avvenne che don Diego, che era bellissimo ed aggraziato giovine, alzando gli occhi si riscontrò a punto negli occhi di Ginevra la bionda, la quale lui fisamente guardava. Furono quei dui sguardi cosi focosi e di tanta forza, che don Diego di lei ed ella di lui restarono fieramente accesi e l’un de l’altro prigionieri. Risguardava l’acceso amante la bella giovanetta, che da sedeci in dicesette anni poteva avere, che suso una chinea guarnita di velluto cavalcava molto leggiadramente. Ella aveva in capo un cappello vagamente acconcio, con un pennacchio dietro che parte dei capelli le copriva. L’altra parte intorno al volto in due chiocchette crespe ondeggiando, pareva che proprio dicesse a chi le mirava: — Qui Amore con le tre Grazie e non altrove ha il suo proprio nido collocato. — Pendevano poi da le belle orecchie duo finissimi gioielli, e in ciascun di loro si vedeva una preziosa perla orientale. Scoprivasi l’ampia ed alta fronte di condecevol spazio, nel cui mezzo un finissimo diamante legato in oro scintillava, come nel sereno cielo le vaghe stelle talora raggiar si veggiono. Le nere come ebeno e stellanti ciglia, di minutissimi e corti peli inarcati, con