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novella xxiii | 315 |
ridurre in un corpo insieme, m’è parso di donarvi questa sotto la tutela del vostro nome, portando ferma openione che, come disse messer Bonifazio, il giovine del qual si parla in essa novella fosse quello che diede origine a la nostra famiglia. Non è adunque da meravigliarsi se la maggior parte degli uomini del nostro legnaggio cosí sovente e cosí volentieri si lasciano ne l’amor de le donne irretire, poi che il capo del ceppo nostro fu si amoroso e a le passioni d’amore soggetto. E nel vero questa amorosa passione è tanto piacevole, tanto dolce, tanto dilettevole e tanto per l’ordinario radicata negli animi degli uomini gentili, che non vai forza, non sapere, non santitá, né qual altro ingegno sia al mondo per potersene guardare. Di piú poi, se per sorte s’appiglia in rozzo core e di basso sangue, è tanto il valore e poter suo, che quel core innalza, purga e trasforma in altre qualitá e lo rende nobilissimo, come giá piú e piú volte per prova s’è veduto. Resterá adunque questa novella eternamente sotto il nostro nome, se tanto gli scritti miei dureranno, i quali io pure scrissi a ciò che perpetuamente durassero. Vi dirò ciò che ora mi sovviene. Devete sapere che nel martirologio ecclesiastico si legge che del mese d’aprile a Nemausio in Francia, che ora Nimis si appella, fu martirizzato per la fede san Bandello goto. Il che mi fa credere questo nome Bandello esser stato antico appo la nazione dei goti. State sano.
NOVELLA XXIII
Astuzia d’una fanciulla innamorata per salvar l’amante ed ingannar la nutrice.
Come, per mio parere, saggiamente s’è conchiuso, i romani e i goti furono i primi che questa nostra patria edificarono, la quale dopoi fu ampliata da’ longobardi nel tempo che Luitprando re longobardo fece il corpo di santo Agostino condur per mare da l’isola di Sardegna a Genova, e da Genova a Pavia. De la edificazione santo Cassiodoro ne fa testimonio, e de l’ampliazione, oltra gli antichissimi scritti che io ho veduto in mano d’Enrico Bandello che il tutto minutamente narrano,