non ci è che ragionare, ditemi come avvenne questa novella, de la quale voi e quest’altro gentiluomo si teneramente ancora lagrimate. — Ohimè, — rispose il signor Timbreo — voi volete, signora zia, che io rinnovelli il piú disperato e fiero dolore che mai da me fosse sofferto e che solo pensando mi dispolpi e strugga. Ma per compiacervi con mia eterna doglia e poco onore, ché fui troppo credulo, il tutto vi dirò. — Cominciò adunque egli, e dal principio a la fine non senza caldissime lagrime e con grandissima pietá e meraviglia degli ascoltanti tutta la miserabil istoria narrò. Soggiunse alora la madrona: — Meravigliosa e crudel novella mi narrate, signor cavaliero, a cui simile forse mai piú al mondo non avvenne. Ma ditemi, se Dio vi aiuti, se innanzi che questa qui vi fosse stata data per moglie voi avessi potuto suscitar la vostra innamorata, che avereste voi fatto per poterla riaver viva? — Il signor Timbreo, tuttavia piangendo, disse: — Giuro a Dio, signora mia, che io di questa mia sposa mi ritrovo molto ben sodisfatto e spero a la giornata di meglio. Ma se prima avessi potuto ricomperare la morta, io averei dato la metá degli anni miei per riaverla, oltra il tesoro che speso ci averei, perciò che veramente io l’amava quanto da uomo che sia si possa donna amare, e s’io mille e mille anni campassi cosí morta com’è sempre l’amerò, e per amor di lei sempre averò in riverenza quanti ci sono dei suoi parenti. — A questo, non potendo piú il consolato padre di Fenicia celar l’allegrezza che aveva, al genero rivoltato, di soverchia dolcezza e tenerezza di core piangendo, disse: — Mal dimostrate, signor figliuolo e genero, ché cosí vi debbo appellare, con effetti quello che con la bocca parlate, imperciò che, avendo la vostra tanto amata Fenicia sposato e tutta matina statole appresso, ancora non la conoscete. Ove è ito cotesto vostro cosí fervido amore? Ha ella cosí cangiato forma, sono in tanto le fattezze sue si cangiate, che avendola appresso non la riconosciate? — Alora alora a queste parole s’apersero gli occhi de l’amoroso cavaliere, e gettatosi al collo de la sua Fenicia, quella, mille fiate basciando e di gioia infinita colmo, senza fine con fisi occhi mirava e tuttavia dolcemente piangeva