diede subito l’acqua a le mani. In capo di tavola fu messa la sposa. Da la banda destra appojei fu assiso il signor Timbreo, per scontro a cui sedeva Belfiore, dietro la quale seguiva il cavalier Girondo. E cosí di mano in mano furono posti un uòmo ed una donna a sedere. I cibi vennero dilicati e ton bellissimo ordine, e tutto il convito fu suntuoso e quieto e gentilmente servito. I ragionamenti, i motti e mille altri trastulli non mancarono. A la fine, recate quelle frutte che la stagione concedeva, la zia di Fenicia, che in villa con lei era per la maggior parte de l’anno dimorata e che appo il signor Timbreo a mensa sedeva, veggendo che il desinar si finiva, come se nulla mai dei casi occorsi avesse sentito cosí festeggevolmente al signor Timbreo disse: — Signor sposo, aveste voi mai moglie? — Egli da si fatta madrona domandato si senti colmar gli occhi di lagrime, le quali prima caddero ch’egli potesse rispondere. Pure vincendo la tenerezza de la natura di questa maniera rispose: — Signora zia, la vostra umanissima domanda mi riduce a la mente una cosa che sempre ho in core e per la quale io credo tosto finire i giorni miei. E ben che io de la signora Lucilla mi truovo contentissimo, nondimeno per un’altra che amai e cosí morta amo piú che me stesso mi sento di continovo un doloroso verme intorno al core, che a poco a poco mi va rodendo e fieramente mi tormenta, con ciò sia cosa che io fui de la sua acerbissima morte, contra ogni debito, sola cagione. — A queste parole il signor Girondo volendo rispondere ed essendo da mille singhiozzi e da le abondanti lagrime che a filo a filo cadevano impedito, pur a la fine con parole mezze mózze disse: — Io, signore, io disleale, fui pur il ministro e il manigoldo de la morte de la infelicissima giovane, che era degna per le sue rare doti viver piú lungamente che non Ha fatto, e tu non ci avesti colpa alcuna, ché tutta la colpa fu mia. — In questi ragionamenti, a la sposa cominciarono altresí empirsi gli occhi di lagrimosa pioggia per la fiera rimembranza dei passati cordogli che sofferti amaramente aveva. Seguitò poi la zia de la sposa e domandò con queste parole al nipote: — Deh, signor cavaliero, per cortesia, ora che altro