incrudelire, ma perdonandogli ogni fallo far che la fama fosse a Fenicia reintegrata e resole l’onore che senza cagione le era con si gran vituperio levato. Volle adunque che il signor Girondo si levasse in piede, a cui dopo molti caldi sospiri d’amarissime lagrime mischi in tal forma parlò: — Quanto era meglio per me, fratel mio, che io mai non fossi nasciuto o, devendo pur venire al mondo, fossi nato sordo, a ciò che mai non avessi udito cosa tanto a me noiosa e grave, per la quale mai piú non viverò lieto, pensando che io per troppo credere abbia colei morta, il cui amore e le singolari ed eccellenti vertuti e doti che in quella il re del cielo aveva collocate, da me altro guiderdone meritavano che infamia vituperosissima e cosí immatura morte. Ma poi che cosí Iddio ha permesso, contra il cui volere non si muove in arbore foglia, e che le cose passate piú tosto si ponno riprendere che emendare, io non intendo di te altra vendetta prendere; ché, perdendo amico sovra amico, sarebbe accrescere doglia a doglia; né per tutto questo la benedetta anima di Fenicia ritornarebbe al suo castissimo corpo che ha fatto il suo corso. D’una cosa ti voglio ben riprendere a ciò che mai piú in simil errore non caschi. E questo è che tu devevi scoprirmi il tuo amore, sapendo che io ne era innamorato e nulla di te sapeva, perciò che io, innanzi che al padre l’avessi fatta richiedere, in questa amorosa impresa ti averei ceduto e, come sogliono fare i magnanimi e generosi spiriti, me stesso vincendo, averei anteposto la nostra amicizia a l’appetito mio; e forse che tu, udite le mie ragioni, ti saresti da questa impresa ritratto e non sarebbe seguito lo scandalo che è successo. Ora la cosa è fatta e rimedio non ci è a far che fatta non sia. In questo vorrei bene che tu mi compiacessi e facessi quanto ti dirò. — Comanda, signor mio, — disse il signor Girondo — ché il tutto senza eccezione farò. — Io vo’ — soggiunse il signor Timbreo — che essendo da noi Fenicia stata a torto per bagascia incolpata, che noi quanto per tutti dui si potrá le restituiamo la fama e le rendiamo il debito onore, prima appo gli sconsolati suoi parenti, dapoi appo tutti i messinesi, perciò che, divoratosi quanto io le feci dire, può di leggero tutta la cittá