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novella xxii 297

   Né fu bisogno ferro al mio morire;
ché ’l dolor, fiero piú che ’l ferro, valse
quando contra ragion m’udii schernire.
   Morendo, Iddio pregai che l’opre false
al fin facesse al mondo discoprire,
poi ch’ai mio sposo di mia fé non calse.

Fatte le lagrimose essequie e parlandosi largamente in ogni luogo de la cagione de la morte di Fenicia e vari ragionamenti su questo facendosi e tutti mostrando di cosí pietoso accidente compassione come di cosa che fosse stata finta, il signor Timbreo cominciò a sentir grandissima doglia con un certo inchiavamento di core, ché non sapeva che imaginarsi. A lui pareva pure che non devesse esser biasimato, avendo egli veduto salire su per la scala un uomo ed entrare in casa. Poi, meglio pensando a le cose vedute ed essendosi giá lo sdegno in gran parte intepidito e la ragione aprendoli gli occhi, diceva fra sé che forse colui, che era in casa entrato, poteva essere o per altra donna o per rubare lá su salito. Sovvenivagli poi che la casa di messer Lionato era grandissima, e che in quella parte ove l’uomo era asceso nessuno abitava, e che non poteva essere che, dormendo Fenicia in compagnia de le sorelle ne la camera di dietro a quella di suo padre e di sua madre, che fosse potuta venire a quella banda, convenendole passar per la camera del padre; di modo che, combattuto ed afflitto da’ suoi pensieri, non ritrovava riposo. Medesimamente il signor Girondo, udita la maniera de la morte di Fenicia e conoscendo chiaramente sé esser stato il manigoldo ed omicida di quella, si perché fieramente era di lei acceso ed altresí per esser stato la vera cagione di tanto scandalo, si sentiva scoppiare di soverchia doglia il core, e quasi disperato fu per ficcarsi un pugnale nel petto due o tre volte. E non potendo né mangiar né dormire, stavasi come uno smemorato, anzi pure spiritato, e farneticando da ogn’ora non poteva pigliar né requie né riposo. A la fine, essendo fatto il settimo di dei funerali di Fenicia e non li parendo piú poter vivere se al signor Timbreo non scopriva la sceleratezza che fatta aveva,