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novella xxii 287

restò senza fine di mala voglia, perciò che poco innanzi s’era de le bellezze di Fenicia innamorato e cosí fieramente aveva le fiamme amorose nel petto ricevute, che teneva per fermo di morire se Fenicia per moglie non aveva. Ed avendo determinato chiederla al padre per moglie,’udita la promessa al signor Timbreo fatta, si credette di cordoglio spasimare, e al suo dolore non ritrovando in modo alcuno compenso, tanto farneticò su questa cosa, che da la passione amorosa vinto, non avendo riguardo a ragione alcuna, si lasciò trasportare a far cosa, non solo a cavaliero e gentiluomo com’egli era, ma a ciascuno biasimevole. Egli era stato in tutte l’imprese militari quasi sempre compagno del signor Timbreo ed era tra loro una fratellevole amicizia. Ma di questo amore, che che se ne fosse cagione, sempre s’erano celati l’un l’altro. Pensò adunque il signor Girondo tra il signor Timbreo e la sua amante seminare si fatta discordia che la promessa del matrimonio si romperebbe, e in questo caso egli domandandola al padre per moglie sperava averla. Né guari al folle pensiero tardò di dare effetto. Ed avendo ritrovato al suo sfrenato ed accecato appetito uomo conforme, quello diligentemente de l’animo suo informò. Era costui che il signor Girondo si aveva per confidente e ministro de la sceleratezza preso un giovine cortegiano, uomo di poca levatura ed a cui piú il male che il bene piaceva, il quale, essendo de la cosa che deveva tramare ottimamente instrutto, n’andò il seguente matino a ritrovar il signor Timbreo, che ancora non era di casa uscito, ma tutto solo in un giardino de l’albergo si diportava. Ed entrato il giovine ne l’orto, fu dal signor Timbreo, veggendolo in verso sé venire, cortesemente raccolto. Quivi, dopo i communi saluti, in questo modo il giovine al signor Timbreo disse: — Signor mio, io sono a questa ora venuto per parlar teco di cose di grandissima importanza che al tuo onore ed utile appartengono. E perché potrei dir qualche cosa che forse l’animo tuo offenderia, ti prego che mi perdoni, e scusimi appo te la mia servitú, e pensa che a buon fine.mosso mi sono. Questo so ben io che ciò che ora ti dirò, se tu sarai quel gentil cavaliero che sempre sei stato, ti recherá profitto pur assai.