tempo. — Chi avesse alora veduto in viso quel barone, averebbe una statua di marmo piú tosto veduta che figura d'uomo, quasi ch’egli arrabbiò di stizza e fu per uscir di sentimento. Veggendo poi ch’altro compenso a la sua rovina non v’era, passato il primo dí, cominciò a dipanare. La donna dopoi fece liberare i famigli del signor Alberto, ed insieme con quelli del signor Uladislao li fece menar a le camere dei lor padroni a ciò vedessero come il viver si guadagnavano. E fatto prender i cavalli e tutte le robe dei baroni, accomiatò i servidori che se n’andassero. Da l’altra parte mandò un suo uomo al marito avvisandolo di quanto fatto aveva. Il cavalier boemo, avuta cosí buona nuova, andò a far riverenza al re e a la reina e in presenza loro narrò tutta l’istoria dei dui baroni ongari, secondo che per lettere de la moglie aveva inteso. Restarono pieni d’ammirazione il re e la reina e sommamente commendarono l'avvedimento de la donna e l'ebbero per onestissima, saggia e molto scaltrita. Domandata poi dal signor Ulrico l’essecuzione de la convenzion pattuita, il re, fatto unire il suo conseglio, volle che ciascuno dicesse il suo parere. Onde, per deliberazione presa, fu mandato il gran cancegliero del regno con dui consiglieri al castello del cavalier boemo per far il processo di quanto i dui baroni fatto avevano. Andarono e fecero diligentemente il tutto, ed avendo essaminata la donna e la donzella ed alcuni altri de la casa, essaminarono anco i baroni, i quali, alquanti dí avanti, aveva la donna fatto metter insieme, a ciò che filando e dipanando si guadagnassero il vivere. Il gran cancegliero, formato il processo, ritornò a la corte, ove il re Mattia insieme con la reina e con i principali baroni del regno e tutti i conseglieri, ventilata maturamente questa cosa dei baroni ongari e del cavalier boemo, dopo molte questioni, tenendo la reina la parte de la donna e prestando il favor suo al boemo, sentenziò esso re che il signor Ulrico avesse il possesso di tutto l’avere e beni mobili e feudi dei dui baroni, per lui e suoi eredi perpetuamente, e che essi baroni fossero banditi da tutti dui i regni d’Ongaria e Boemia, con pena che ogni volta che vi ritornassero fossero publicamente dal manigoldo frustati. Fu la sentenza messa ad essecuzione, perché il