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IL BANDELLO
al molto illustre signor
il signor
geronimo adorno
salute
Quanto s'ingannino, magnanimo signor mio, quei mariti che, sprezzato l’amore de le sposate lor mogli, a l'altrui maritate attendono, ancor che tutto il dí si veggia per i molti accidenti che accadeno, nondimeno da una novella, che giá molti dí sono che scrissi stando a Roma ed ora al nome vostro consacro, potrete facilmente comprendere. Né minor errore stimar si deve che commettino quelle donne, le quali, accorgendosi che i mariti per risparmiar quel di casa attendono a logorare quel di fuori, con ogni ingegno a porgli il cimiero di cervo in capo si sforzano, perciò che e i mariti mertano biasimo grandissimo rompendo la fede maritale, e le donne sono di grave castigo degne macchiando i consorti di macchia tanto al mondo abominevole e vituperosa. Mi ritrovai sotto Giulio secondo, pontefice massimo, a Roma in castel Sant’Angelo, essendo ito per alcune faccende a parlar al molto letterato e vertuosissimo messer Sigismondo da Foligno, segretario di esso Giulio, il quale era con messer Gian Battista Almadiano, uomo dotto e segretario di monsignor Olivero Caraffa, cardinale di Napoli, ed altri gentiluomini, tra i quali era il mio gentilissimo signor Angelo dal Bufalo, e ragionavano d’un marito che quel giorno aveva ammazzata la moglie per averla ritrovata con un cortegiano. E dicendo il signor Angelo che cotestui era stato piú avveduto d’un altro romano, fu da quei signori pregato a narrar come era stato il caso. Egli si scusava con dire che il caso era un poco disonesto. Ma l’Almadiano disse che non era male a narrare,