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novella ii 19

li soggetti del re non restò né cavaliere né barone, che riccamente vestito non comparisse, e tra li primi che il nome loro diedero fu il primogenito del re, giovine molto valoroso e nel mestier de l’armi di grandissima stima, che da fanciullo s'era in campo allevato e cresciuto. Il senescalco anco egli il nome suo diede. Il che fecero anco altri cavalieri, cosí persiani come stranieri, perciò che la festa era bandita generale, con salvocondutto a tutti i forestieri che venire o giostrar vi voleano, pur che fossero nobili e non altrimenti. Aveva il re eletto tre baroni vecchi per giudici de le botte, li quali nel suo tempo erano stati prodi de la persona, e in molte imprese essercitati, e uomini intieri e di saldo giudicio. Questi avevano il loro tribunale al mezzo de la giostra proprio per iscontro ove il piú de le volte i giostranti si solevano incontrare e fare colpi loro. Devete pensare che tutte le donne e figliuole del paese ci erano concorse, e tanta gente ragunata quanta cosí fatta festa meritava. E forse che cavaliero alcuno non giostrava, che la sua innamorata quivi non avesse, tenendo ciascuno di loro qualche dono de le lor donne, come in simili giostre è costume di farsi. Il giorno e l'ora deputata comparsero tutti i giostranti con grandissima pompa di ricchissime sopraveste cosí su l’armi come sopra i corsieri. Cominciata la giostra, ed essendosi giá rotte di molte lance e fatti di bei colpi da molti, era general giudicio che il senescalco Ariabarzane sarebbe stato quello che averebbe portatone il premio, e se egli non ci fosse stato, che il figliuolo del re andava a lunghi passi innanzi a tutti gli altri, perciò che nessuno de li giostranti passava cinque botte, salvo il figliuolo del re, che ne aveva nove. Il senescalco mostrava undeci lancie rotte vigorosamente ed onoratamente, ed una sola botta che ancor facesse, li dava il gioco vinto, ché dodici botte erano quel giorno a li giostranti per guadagnar il premio ordinate, e chi prima le faceva senza impedimento alcuno il premio ne portava. Il re, per dir il vero, quanto piacere aver poteva, era che quel dí l’onore fosse del figliuolo; ma egli vi vedeva mal il modo, perché chiaramente conosceva il senescalco aver troppo vantaggio, e pure come prudente il tutto in viso dissimulava. Da l’altra parte, il