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170 parte prima

sapendo che vi sará caro intendere come le mie novelle vanno crescendo, avendone voi qualcuna letta e commendata ed essortatomi a raccoglierne piú numero che si potesse, vi dico che di giá ne ho scritte molte, de le quali una ve ne mando che, non è molto che essendo qui, il magnifico messer Lorenzo Griti in casa de la signora Ippolita Sforza e Bentivoglia narrò, essendo essa signora di parto. Questa adunque voglio che sempre sia vostra e sotto il vostro nome si legga, a ciò che in qualche parte da me si cominciono a pagar tanti debiti, di quanti debitor vi sono. E di che altro posso pagarvi, se non di quei poveri e bassi parti che da l’ingegno mio nascono? Restami ricordarvi che di me in tutto quello che per me si può vogliate prevalervi come di cosa vostra, assecurandovi che conducendo al fine queste mie novelle, a voi solo le manderò, che le facciate degne del publico, sí per far quanto richiesto m’avete, ed altresí perché conosco che da voi saranno date fuori, se non come meritano per la bellezza loro, almeno come al nome del gentilissimo e dottissimo Aldo si conviene. State sano e di me ricordevole.

NOVELLA XV

Dui gentiluomini veneziani onoratamente da le mogli sono ingannati.

Ne la mia patria Vinegia, cittá ricchissima e di piacevoli e belle donne quanto altra d’Italia molto abondevole, al tempo che Francesco Foscari, prence sapientissimo, il prencipato di quella governava, furono dui gentiluomini giovini, dei quali l’uno si chiamava Girolamo Bembo e l’altro Anselmo Barbadico da tutti era detto. Fra questi dui, come spesso suol avvenire, era mortalissima nemicizia e tanto e sí acerbo odio, che mai non cessavano con occulte insidie dannificarsi, e per ogni via a lor possibile farsi vergogna. E tanto innanzi le loro dissensioni e gare essere procedute si vedevano, che quasi impossibil pareva che mai piú si devessero insieme pacificare. Ora avvenne che in un medesimo tempo costoro presero moglie, e cosí andò la bisogna, che ebbero due nobilissime e molto belle e vaghe