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Montecchi e i Capelletti, le quali tra loro, che che se ne fosse cagione ebbero fiera e sanguinolente nemicizia, di modo che in diverse mischie, essendo ciascuna potente, molti ci morirono cosi di Montecchi e Capelletti come di seguaci che a quelli s’accostarono; il che di piú in piú i lor odii accrebbe. Era alora signor di Verona Bartolomeo Scala, il quale assai s’affaticò per pacificar queste due schiatte, ma non ci fu ordine giá mai, tanto era l’odio abbarbicato nei petti loro. Tuttavia gli ridusse a tale che se non vi pose pace, ne levò almeno le continove mischie che tra loro assai sovente con morte d’uomini si facevano; di maniera che se si scontravano, i giovini davano luogo ai piú vecchi de la contraria fazione. Avvenne adunque che un anno, dopo natale si cominciarono a far de le feste ove i mascherati concorrevano. Antonio Capelletto, capo de la sua famiglia, fece una bellissima festa a la quale invitò gran nobiltá d’uomini e di donne. Quivi si videro per la maggior parte tutti i giovini de la cittá, tra i quali v’andò Romeo Montecchio che era di venti in ventun anno, il piú bello e cortese di tutta la gioventú di Verona. Egli era mascherato e con gli altri entrò ne la casa del Capelletto essendo giá notte. Si trovava Romeo alora fieramente innamorato d’una gentildonna a la quale passavano circa dui anni che s’era dato in preda, ed ancor che tutto il di ove ella a chiese od altrove andava, sempre la seguitasse, nondimeno ella d’un solo sguardo mai non gli era stata cortese. Avevaie piú e piú volte scritto lettere ed ambasciate mandato, ma troppa era la rigida durezza de la donna che non sofferiva di far # un buon viso a l’appassionato giovine. Il che a lui era tanto grave e molesto a poter comportare che per l’estremo dolore che ne pativa, dopo Tessersi infinite volte lamentato, deliberò da Verona partirsi e star fuori uno o dui anni e con vari viaggi per T Italia macerar questo suo sfrenato appetito. Vinto poi dal fervente amore che le portava, biasimava se stesso che in cosi folle pensiero fosse caduto e a modo veruno partirsi non sapeva. Talora tra sé diceva: — Non sia giá vero che io costei piú ami, poi che chiaramente a mille effetti conosco la servitú mia non Tesser cara. A che seguirla ovunque va, se il vagheggiarla nulla mi