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amorevole, cortese, liberale, benigno, paziente e compassionevole ai bisogni del prossimo, che molto piú non debbia esser ogni persona religiosa? Quei religiosi che vivono in commune deveno piú degli altri esser pieni di caritá e compassione, avendo questo obligo da le loro instituzioni. I preti poi che hanno benefici e particolarmente attendono a le cose loro temporali, deveriano tutti ardere di caritá ed esser i piú liberali e cortesi che si trovassero, perciò che sono quelli che meno hanno a considerare a la roba che nessun’altra sorte d’uomini, sapendo che dopo la morte loro i benefici che tengono e godeno non vanno per ereditá, non gli potendo lasciar a lor volontá. E nondimeno — ahi vituperio del guasto mondo ! — pare che oggidí come si vuol dire uno avaro si dica un prete. E certo chi lo dice ha gran torto, perciò che la mala vita di tre o quattro non deveria macchiar l’onesto vivere degli altri, essendoci molti in questa nostra etá preti da bene che santissimamente vivono e liberalmente dispensano i beni loro. Io direi che tra gli altri voi séte uno di quelli, ché sino da la vostra fanciullezza sempre séte stato nemicissimo degli avari e ché dopo che séte beneficiato vivete splendidamente e largamente a’ poveri e vertuosi donate. Ma io non vo’ su la faccia vostra lodarvi, tanto piú essendo la liberalitá vostra chiarissima. Ora tornando a questi preti avari i quali vorrebbero per loro soli trangugiare quanto hanno al mondo e non darebbero un pane per amor di Dio, dico che se talora vien loro fatta qualche beffa e se sono biasimati, che a me pare che lo meritano e che poca compassione si deve lor avere. Onde avendo questi di il vostro e mio anzi pur nostro Lucio Scipione Attellano fatto un solenne e sontuoso banchetto a la signora Bianca da Este e Sanseverina, ove intervennero molti gentiluomini e gentildonne, ragionandosi dopo il desinare di varie cose, il nostro dottor di leggi, che era uno degli invitati, messer Girolamo Archinto, e che conoscete come è piacevole, narrò una bella beffa fatta a un avarissimo parrocchiano. La quale parendomi molto festevole io scrissi, e quella ho voluto mandarvi a ciò che dopo gli studi vostri de le civili e canoniche leggi, ne le quali séte eminentissimo come l’opere vostre stampate fanno ferma fede,