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nostro non si meravigli de le risa che in tutti ha visto. — Messer Tommaso alora disse quanto gli occorse, ancor che la metá non esplicasse de la castroneria, melensaggine e mellonaggine di Gandino, e conseguentemente degli sfortunati e miseri gelosi, che presumono esser Salamoni e fanno tuttavia le maggiori e segnalate pazzie che si possino imaginare. E veramente il morbo de la gelosia è una micidial peste, che di modo ammorba il petto di colui a chi s’appiglia che non solamente il geloso non ha mai bene, ma né anco lascia altrui riposare. Che se il marito divien geloso de la moglie, egli in tutto perde ogni quiete e sempre miseramente si tormenta e in tal maniera la povera moglie travaglia e affligge che ella invidia ai morti. È ben vero che ci sono di quelle si sagge ed avvedute, che come si accorgono che i mariti contra il devere ingelosiscono, gli danno ciò che vanno cercando, ponendo lor in capo l’arme dei Soderini di Firenze. Ora avendo io per commi ssion vostra scritto quanto il Castellano narrò e in forma d’una novella ridotto, quella come frutto nato ne l’amenissimo ed aprico orto del vostro Pandino vi mando e dono, supplichevolmente pregandovi che degnate farla vedere al vostro e mio anzi pur nostro Soavissimo, che cosi volentieri le cose mie legge. Basciovi le mani e prego nostro signor Iddio che vi doni quanto desiderate. State sana.

NOVELLA XXXIV

Gandino bergamasco scrive i peccati de la moglie e gli dá al frate che ode la confession di quella e fa mille altre pazzie.

Poi che, signora mia, mi comandate che io per sodisfare al nostro reverendissimo monsignore alcuna particella dica dei segnalati costumi del nostro ser Gandino bergamasco, che solamente a nomarlo v’ha fatto ridere, io che desidero in molto maggior cosa di questa ubidirvi, alcune cosette de le sue vi dirò, mettendovi prima innanzi gli occhi alquante sue taccherelle, da le quali il rimanente de la sua traditora natura di leggero potrete imaginarvi. Suole il mordace e proverbioso