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etá. — E cosi detto si tacque. La reina, udita con gran piacere la pronta risposta del giovine. — E noi — disse — vi ringraziamo di tante lodi che date ci avete e del vostro buon animo verso noi. — Cosi dettogli questo senza piú, se ne passò innanzi, tuttavia con questi e con quelli per via di diporto motteggiando. Parve pertanto a lei e simigliantemente a la reina Maria che d’ogni cosa era consapevole, aver in grandissima parte spiato Tanimo del giovine, e quasi per fermo tenesse sé esser quella che il giovine lombardo tenesse per sua suprema donna. Del che punto non si sdegnò, anzi assai ne l’animo suo lo commendò e tennelo per molto da piú che prima non lo teneva, e come discreta e valorosa gli diede infinite lodi. Ella non fece giá ciò che molte far sogliono, le quali come si veggiono esser di legnaggio piú nobile o pur uguale di quel de l’amante che il cielo loro averá dato, quello non degnano, anzi di lui e de la sua fedel servitú si beffano, e sovente con finti visi e parole tutte simulate il levano in alto, e poi tutto ad un tratto le loro finte maniere cangiando, lo lasciano da la cima e colmo d’ogni speranza nel basso abisso d’ogni disperazione senza alcun ritegno cadere, di modo che colei ’che piú ne schernisse piú si tiene scaltrita. Ma quanto meglio e piú lodevole impresa sarebbe che non avendo la donna a caro l’amore e la servitú d’un uomo, liberamente gli dicesse : — Amico, tu non fai per me — che pascerlo di vane speranze, tenendolo un tempo a bada, dandogli parole e sguardi e poi si miseramente, come spesso si fa, da sé cacciarlo? Io per me, ancora che ferventissimamente amassi una donna e che mi fosse d’estrema doglia cagione il vedermi cacciare e non esser da quella amato, mi saria nondimeno men grave Tessermi apertamente detto che io altrove mi procacciassi una padrona, che mostrar d’aver a grado la mia servitú e pascermi qualche tempo di vane speranze, e poi trovarmi beffato e schernito. Ché in vero in simil caso io non sarei forse men rigido è severo contra chi di questa maniera mi trattasse di quello che si fosse lo scolar da Parigi tornato in Firenze a la male aventurata madonna Elena. Ma torniamo al nostro messer Filippo. Il quale ancora che