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poi generalmente da’ soldati molto amato, perciò che con loro non da figliuolo di re o come prencipe viveva, ma da guerriero privato e compagno con loro conversava, nomando ciascuno per proprio nome ed accarezzando ed onorando ciascuno secondo che meritava, servando però tuttavia un certo decoro di superiore. Aveva giá egli per mezzo di Sillano, essendo in Spagna, fatta privatamente amicizia con quello Scipione che poi fu chiamato Affricano e che alora con imperio proconsolare gloriosamente in quella provincia i cartaginesi debellava. Fece lega poi con i romani, e santissimamente fin che visse l’amicizia del popolo romano osservò e quella ai figliuoli e nipoti lasciò ereditaria. Cominciata adunque la guerra ne l’Affrica dai romani, egli subito con quelle genti che puoté avere venne a trovar il suo Scipione. Non dopo molto essendo Siface rotto e preso, andò Masinissa con Lelio a pigliar le cittá del reame che giá fu di Siface, e al capo de la provincia, che era la cittá di Cirta, indirizzò l’essercito. Era in quella Sofonisba moglie di Siface e figliuola di Asdruballe di Giscone, la quale aveva alienato l’animo del marito dai romani con i quali era collegato, e mediante le suasioni di quella s’era messo per diffender i cartaginesi. Sofonisba sentendo che i nemici erano giá entrati in Cirta e che Masinissa dritto al reai palazzo se ne veniva, deliberò andargli incontra e veder d’esperimentare la benignitá e clemenza di lui. Onde ne la calca de’ soldati che giá nel palazzo erano entrati, animosamente si mise e andando innanzi quinci e quindi si rivolgeva, riguardando se fra tanta moltitudine poteva a qualche segnalata cosa conoscer Masinissa. Ella in questo vide uno il quale a l’abito e a l’arme che indosso aveva e al rispetto che da ciascuno gli vedeva usare, giudicò quello senza dubio veruno esser il re. Il perché dinanzi a quello inginocchiata, in questa maniera pietosamente a parlar cominciò : — Poi che la tua vertu e la felicitá insieme con il favore degli dèi hanno permesso che tu abbia ricuperato il tuo antico regno, vinto e preso il tuo nemico e che tutto quello che piú t’aggrada tu di me puoi fare, io però da la tua mansuetudine e clemenza confortata prenderò ardire con supplichevoli voci pregarti e prima basciarti le vittrici mani. —