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34 Coi Bersaglieri dell’Undicesimo Reggimento in guerra

letta di Quel Tarond, una granata del Kug colpì in pieno il baraccamento.

Spaccò un trave e il tetto crollò.

Trepidanti accorremmo, perchè sapevamo che Mussolini era rimasto dentro, noncurante come al solito del bombardamento nemico, e non aveva voluto seguire gli altri bersaglieri nella vicina caverna.

Temevamo che fosse rimasto colpito, quando con indicibile gioia lo vedemmo uscire dai rottami, stracciato e sporco, ma illeso.

Con quel sorriso che compare sulle sue labbra ogni qual volta è soddisfatto di una cosa, si rivolse a noi calmo, calmo, scuotendosi i panni, esclamando: «Beh! Sono stato fortunato anche questa volta!» 1

  1. Aveva vigilato il buon genio della Patria, riscattata dall’abisso della neutralità, rifatta inizialmente nel risorto romanticismo mazziniano (dopo l’imbarbarimento marxista che un po’ tutti ci aveva presi e tenuti), riplasmata nell’anima e nella volontà dell’interventismo rivoluzionario mussoliniano.

    Mai rivoluzione doveva essere tanto drammatica per un popolo, fin dagli inizi, e nello spirito prima che nel sangue, nel contrasto polemico dell’idee, dei sentimenti, delle tendenze inveterate, ormai secolari.

    Mai rivoluzione doveva, fin dai primi passi, così contrastati, in mezzo a tanta avversione di «fratelli», a tanto odio, irrisione, incomprensione e tristezza, recare tanto destino per una Patria (quale vigilia terribile e grande!), per l’Europa, e forse per il Mondo!

    Non era giusto che la sorte, prima che a sè stesso, serbasse alle fortune della Patria il caporale Benito Mussolini futuro condottiero e duce senza eguali?

    (p. d.)