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appendice 213

Dio non voglia, piú possibile un’etá di servitú, che di servilitá o preponderanza. Questa è finita oramai; incomincia dal 1848 un’etá nuova, che io numero ottava della storia d’Italia, che i posteri battezzeranno essi, secondo che saranno piú o meno buoni della generazione nostra iniziatrice.

Qui giunto, cresce la difficoltá di quest’appendice. Potrei scusarmi di finirla qui. Ma poiché (bene o male) io superai giá quella di parlare dei fatti a cui preser parte gli amici ed avversari miei, io mi proverò a superar pur quella che qui s’aggiunge di parlar de’ fatti in cui ebbi parte anch’io. E supererolla al medesimo modo, solo possibile in questa brevitá, di giudicare sí i fatti, ma non la parte che v’ebbe ciascuno. E faccio e domando quindi per me la medesima riserva, che mi par giustizia. Quand’io loderò o condannerò un fatto in che ebbi parte io, come altri, non vuol dire che io lodi o condanni me. A un fatto moralmente cattivo è cattiva qualunque partecipazione per certo; ma un errore politico, pur rimanendo errore al complesso di quella nazione e di quelle persone che il fecero, può essere, non che scusabile, ma bello e generoso in chi il fece per iscansare errori maggiori. Gli errori del ’48 sono certi, poiché fallimmo l’impresa; ma quali sono? Chi vede gli uni, chi vede gli altri, io ne vedo forse piú che nessuno; e noterolli, anzi non vo incontro all’ingratissima fatica se non per notarli, perché credo possa essere piú utile ciò che tutto il resto del mio volume. Ma il giudicare qual parte abbia avuto ognuno in quegli errori, sarebbe materialmente impossibile qui; e non sarebbe poi anche in opera piú lunga possibile a me. Delle cose a cui si partecipò io credo che sia piú bello, piú franco farsi non giudice, ma piú modestamente avvocato; scrivere non storia, ma memorie. E queste detterò poi, quando io abbia tempo e voglia; ché non credo aver né l’un né l’altra.

Dicemmo, gli statuti, la libertá essere stata data a Napoli addí 11 febbraio, a Torino addí 4 marzo, a Firenze addí 17, a Roma addí 14 marzo. — Addí 18 incominciò il sollevamento de’ milanesi; al 19 Carlo Alberto die’ ordine di adunare l’esercito al Ticino. Nella notte del 22 al 23, dopo cinque giornate