|
delle preponderanze straniere |
159 |
comando della grande armata; e pari militarmente o superiore a
se stesso, vinse al 1º maggio russi e prussiani in gran battaglia a
Lutzen; addí 20 e 21 a Bautzen. Fecesi tregua, trattossi pace, non fu
possibile niun accordo; si ricominciò la guerra, unita ora Austria alla
crescente alleanza contra Francia. Addí 27 agosto, russi, prussiani
ed austriaci assalgono Napoleone in Dresda, e sono vinti, respinti;
e vi muor Moreau, mal venuto dall’esilio d’America a porsi tra le
file dei nemici di suo paese. Ma vinto e preso pochi dí appresso
Vandamme con un grosso corpo francese in Boemia, e riaffollandosi gli
eserciti alleati contro a Napoleone, ei poté sí tenerli a bada alcun
tempo; ma soverchiato finalmente dal numero, fu sforzato a ritrarsi.
E concentrato l’esercito a Lipsia, fu vinto ivi in una battaglia di
tre dí [16, 17, 18 ottobre]. Questo fu il fine, questa la piú bella
battaglia della grande armata. Alcuni di que’ panegiristi che cercando
vanti falsi trascuran i veri, e guastan cosí fin le glorie degli eroi,
vantano la grand’armata quasi non vinta mai; se non dalle stagioni,
dal vento o che so io. Fu vinta essa, ma non dal vento, fu vinta dal
numero de’ nemici, dagli abbandoni degli alleati, dalla spossatezza
propria; fu vinta, magnificamente perdurando, che è la piú grande delle
glorie militari, politiche, umane. Ed io intendo rivendicare parte di
quella gloria per li nostri italiani che lá perirono, numerosi, prodi,
fedeli, degni di lor maestri di guerra. Sventuratamente, i superstiti
credettero essere stati sacrificati da questi, dietro a un ponte rotto
nel ritirarsi; e se n’accese lor ira, ed io scrittore li udii pochi dí
appresso a Magonza. E questo ed altri disprezzi che credettero aver
sofferti da Napoleone o dal viceré, furono causa dello scostarsi gli
animi di molti principali dell’armata d’Italia da que’ due principi,
e dell’abbandonar l’ultimo pochi mesi appresso mal generosamente, mal
utilmente. L’Italia di quei tempi non seppe né respingere i Napoleonidi
come gli spagnuoli, né scuoterli a tempo come i tedeschi, né serbarli
quando sarebber diventati italiani. E cosí, dubitando, chiacchierando,
tumultuando e non operando all’occasione, ella perdette questa che
fu pure delle piú belle. Se gl’italiani avesser saputo non guardar