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l’abbandonarono; molti signori delle Due Sicilie gli congiuraron contro. Dicesi che un suo medico tentasse avvelenarlo; e che Pier delle Vigne suo cancelliero ed amico, che gli avea condotto costui, ne cadesse in sospetto ed in tal disperazione, che perciò si uccidesse urtando il capo al muro [1246]. Allora il domato Federigo domandò pace e poco men che mercé, implorò l’intervento di san Luigi re di Francia, e promise riprender la croce. Venuto a Torino per accostarsi al papa, fu richiamato indietro dalla sollevazione di Parma; vi pose campo all’intorno, e tentò imitare la fondazione di Alessandria, fondando lá presso una sua cittá ghibellina che chiamò Vittoria; ma, quasi a scherno di fortuna, ei fu vinto colá [1248], e la cittá incipiente fu distrutta. Le cose andavan meglio per lui in Toscana; i ghibellini s’insignorivano della stessa Firenze, capo de’ guelfi. Ma intanto Bologna raccoglieva intorno a sé le cittá, le milizie della parte, e dava [1249] una gran rotta agli imperiali, e vi prendeva Enzo, uno de’ non pochi figliuoli naturali di Federigo, ornato del nome, non della potenza, di re di Sardegna. Fu gran trionfo a’ bolognesi, i quali mostrano oggi ancora il luogo dove trassero e tennero il giovane in pomposa prigionia per venti e piú anni, finché morí. All’incontro, prosperavano i ghibellini sull’Adige e la Brenta; vi prosperava e inferociva peggio che mai Ezzelino tiranno. Era, come si vede, tra Napoli ghibellina, Roma guelfa, Toscana ghibellina, Bologna guelfa, Padova e il resto ghibellino, un frapporsi, un intrecciarsi di parti, di guerre, di vittorie e sconfitte che doveva parer insolubile. Fu sciolto dalla morte di Federigo II [13 dicembre 1250] avvenuta in Puglia, dov’erasi ritratto, e rimasto poco men che ozioso, forse scoraggiato, da un anno. Fu indubitabilmente uomo di grandi facoltá native. Se la potenza tedesca avesse potuto ordinarsi definitamente in Italia, sarebbesi fatto da lui, che riuniva le due potenze d’imperatore, re d’Italia e delle Due Sicilie, che imperiò e regnò oltre a cinquant’anni, che quasi sempre dimorò tra noi, che fu, si può dire, piú italiano che tedesco, e fu grand’uomo. Ma tutte queste qualitá facendolo piú pericoloso, il fecero anche piú odiato. Egli pure fu (mi scuso di ritornar cosí sovente a tale