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un po’ più alto, un secondo. Al di là delle poltrone, s’alza una grandinata di banchi fino alla parete, nella quale s’apre una galleria sostenuta da dieci svelte colonne di marmo. La luce vien dall’alto. Io non mi saziavo di guardare: il rosso delle poltroncine, i fiori dipinti sui muri, le colonne e la luce davano al teatro un non so che d’allegro, che piace e diverte.1

All’ora fissata un uomo comparve sul palco con due cassette bucherellate in mano. Le aprì e ne uscirono due bei galli alti, svelti, diritti come fusi; la cresta non l’avevano, e sgranavano certi occhi tutt’altro che amorosi. L’uomo fece un inchino al pubblico e sparì lasciando soli i combattenti.

Sul primo non si guardarono; anzi si misero tutti e due a cantare, allungando il collo verso gli spettatori come se domandassero:

— O che diamine volete voi? —

A poco per volta e facendo vista di non essersi ancora veduti, s’avvicinarono; pareva che l’uno volesse pigliar l’altro a tradimento. A un tratto, svelti come ragazzi, fecero un gran salto con l’ali aperte, si dettero un bell’urtone, e ricascarono seminando penne da tutte le parti.

Dopo quest’urto, che fu come l’introduzione della battaglia, si fermarono e si misero l’uno davanti all’altro con certi occhi, che Gesù ci scampi e liberi.

Poi s’avventarono da capo con una furia incredibile; si ferirono a forza di zampate e di colpi di becco; si strinsero con l’ali in modo che parvero un

  1. Per queste notizie mi son valsa dello stupendo lavoro del De Amicis, intitolato Spagna.