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noi per vedere il nuovo arrivato di cui sua madre le aveva certamente fatto parola.
— Dov’è, — gridava saltellando — dov’è il galletto forestiero? Qua, ch’io lo veda! —
Un ragazzetto che stava lì a far erba, glielo accennò, ed ella subito si chinò per pigliarlo in collo; ma il galletto, non so se stizzito dalla fredda accoglienza di mia madre, o perchè forse non era avvezzo a quei modi cortesi, invece di lasciarsi prendere, fuggì via come un razzo, dopo averle beccato ben bene la mano.
— Cattivo vero! — esclamò la Maria con le lacrime agli occhi, — devi aspettare ch’io ti ripigli.... Già io non voglio altri che il mio pulcino obbediente, carino, buono! —
Quantunque quegli elogi fossero fatti piuttosto con l’idea d’indispettire il galletto, che di far piacere a me, ne restai però contento, e corsi incontro alla padroncina che mi prese in mano, mi baciò replicatamente e mi portò in camera sua.
Lì, si divertiva quasi tutti i giorni a mettermi davanti ad una certa lastra di vetro, nella quale vedevo un altro pulcino che mi somigliava tutto, e che, da quel grullerello ch’egli era, mi faceva sempre il verso.
Io, sul primo, mi ci arrabbiavo e dimolto; ma la Marietta rideva a più non posso, dicendomi che la pigliavo con me medesimo, e che quell’altro pulcino ero io, proprio io. Ci capite voi nulla, bambini miei?
Io vi confesso di no, e non sono ancora riuscito a persuadermi che io potessi essere un altro e che quest’altro, per conseguenza, potesse esser me.
Sicuro, la Marietta che leggeva tanti libri con le