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— A S.... dalla mi’ figliuola maritata. Ohe volete? Da quando quella benedetta ragazza la si accasò, i’ rimasi sola come un cane in quella po’ di casuccia che mi lasciò il mi’ povero Lucantonio buon’anima. Non dico, delle persone perbene e’ ce n’è sempre, e tutti, per consolarmi, mi facevan tuttavia una gran festa: «Lena, qua; Lena, là; Lena, venite da noi....» Oh per questo non mi posso lamentare, ma io, Tenia, vo’ lo sapete, non sono mai stata una donna da girandolar per le case degli altri. M’è sempre piaciuto di starmene a me, a casa mia, con la famiglia. Questa volta, però, non mi ci sono potuta adattare. La sera ero avvezza a lavorucchiare insieme a quella figliuola, che sempre ne trovava delle nuove per farmi stare allegra; alle dieci si diceva il rosario e a letto. L’era una gran bella vita!

— Ve lo credo, povera Lena!

— E dacché la Teresina andò a marito e mi lasciò sola, non ho avuto più un momento di bene. In quella casa non mi ci potevo più vedere. Mangiavo un boccone tanto per non lasciarmi rifinire, ma la malinconia mi rodeva; ero sempre a piangere. A dirla in poche parole, sapete quel che feci?

Oggi a otto scrissi alla mi’ figliuola e al su’ marito; raccontai ogni cosa, e loro, poveretti, indovinate quel che mi hanno risposto: «Venite subito da noi, mamma, dove si mangia due si mangia tre.» E io, Tonia, non me lo son fatto ridir due volte.

— Avete fatto bene, Lena, — disse la massaia tutta intenerita. — E della vostra casetta che ne fate voi?

— Sentite, per dire, il vero i’ la volevo vendere: ma mi davano una miseria; poche centinaia di lire