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mezzo alla stanza, traendo seco un visibilio di boccettine, di vasetti e di spazzole.

A quel fracasso il cane abbaia più forte che mai, il gatto se la batte precipitosamente dalla finestra, ed io stavo per imitarlo, allorchè sull’uscio della stanza, e armata d’un rispettabile granatino, apparve la famosa donna vestita di nero, quella stessa che la sera avanti mi aveva accolto in modo così scortese.

Ebbi la somma ventura di sfuggire a tempo a’ suoi sguardi penetranti; non così il cane, che, poverino, ebbe a scontare, per mezzo di alcune granatate amministrategli dalla troppo zelante cameriera, le colpe del gatto e le sue. Due ore dopo questa tragedia, e allorchè il sole era più che a metà del suo corso, io m’aggiravo pensoso nel giardino.

Le bellezze che la mattina mi avevano colpito, mi parevano ora fredde e sbiadite; e più de’ sedili di marmo e de’ fiori capricciosamente colorati, mi sarebbe piaciuto rivedere l’umile casuccia della Marietta, il podere e i grossi alberi frondosi tremolanti al venticello della sera.

Il signorino studiava sul pianoforte, e la signora Clotilde lo accompagnava con certi trilli e gorgheggi così limpidi e sonori, che avrebbero fatto onore a un canarino; in lontananza le campane di Santa Croce sonavano a distesa, e la via che fiancheggiava il giardino era continuamente percorsa da carrozze e cavalli; tutto ciò formava un insieme assai piacevole, ma il povero pulcino, a cui il primo saggio della vita signorile era stato più che sufficiente a guarirlo della sua sciocca vanità, avrebbe preferito a tutto quel frastuono le cantilene melanconiche della To-