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loro padroni, eseguiscono vari giuochi; tirano su dei piccoli secchiolini che contengono il loro cibo e la loro bevanda; danno fuoco alla miccia d’un cannone grosso quanto un dito mignolo, fanno il morticino e altri giochetti simili. —
Mentre la signora Clotilde se ne stava ragionando in tal modo, io, annoiato un po’ di star lì fermo, m’ero mosso adagio adagio; e senza che nessuno se ne avvedesse, avevo infilato bravamente una specie di boschetto, dove c’era uno stare di paradiso; però non mi ci fermai e seguitai a girandolar pel giardino, ora a caso, ora intento a guardar di bel nuovo le cose già note.
Il mio pensiero, però, era sempre rivolto a’ miei buoni amici di Vespignano: mi pareva mill’anni dacchè non gli avevo visti, e non erano trascorse neppur ventiquattr’ore.
Cammina cammina, mi trovai presso una porta tutta di vetri colorati, aperta a spicchiolino. Dava in una stanzetta allegra, parata di celeste e co’ muri quasi ricoperti di libri e di disegni; da una parte vidi un elegante scrittoio con tutto il bisognevole per istudiare; penne, lapis, carta, ceralacca; da quell’altra un tavolincino tondo, carico di lane, di nastri, di cotone e di altri oggetti necessari per lavorare.
— Secondo me, questa è la stanza dove sta la signora; — dissi — e ritto sullo scalino, rimasi per due minuti indeciso se dovevo tornare indietro o penetrare nel santuario.
L’istinto vagabondo e la curiosità che anche in noi altri pulcini si fa sentire, la vinsero, e spiccato un leggiero salto che avrebbe fatto onore a qualun-