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― Da quello là, ― rispose Alberto accennando un uccellino, piccino come la metà d’un pollice, e con certe alucce che brillavano al sole come tanti rubini.
― Poverino ― disse la signora Clotilde con malinconia ― quello camperà poco, vedete; sono appena quindici giorni che fu regalato a mio marito, e in tutto questo tempo non ha fatto mai lega co’ suoi compagni; se ne sta solo solo in un cantuccio, dal quale ripensa forse le piagge verdeggianti del suo paese, i fiori dai grandi calici e gli ardenti raggi del sole; questo animalino leggiadro si chiama l’uccello mosca, probabilmente a cagione della sua piccolezza; abita i luoghi caldi: le specie più notevoli sono il Topazio, il Granato, il Collare Verde, il Collo ciuffato, il Rubino e l’Ametista, questo è della specie del rubino; vedete le sue pennine come brillano! Paiono tante pietre preziose. Svolazzano di fiore in fiore, e sembrano, col continuo loro ronzìo, voler produrre agli abitanti di quelle calde regioni un sonno benefico e ristoratore.
Sono tanto leggieri, volano tanto rapidi e son così piccini, che l’occhio non può seguire il moto velocissimo delle loro alucce scintillanti; quando son per aria sembrano al tutto immobili; si crederebbe che stiano sospesi mercè fili invisibili. Il loro nido sì, che è carino!
È grosso come un mezz’uovo di gallina; il maschio porta tutto l’occorrente per fabbricarlo, e la femmina, da vera donnina da casa, accomoda e dispone tutto a dovere. Questa graziosa cella è sospesa ora ad una foglia, ora a un ramoscello e spesso anche ad un solo fil di paglia, che sporga dal tetto di qualche capanna.