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Sua moglie, cara e simpatica donnina su’ venticinque anni, era delicata e gentile come un gelsomino catalogno: occhi neri, capelli scuri, bei denti e certe manierine soavi da innamorare.
Alberto, ossia il signorino, come tutti lo chiamavano, ritirava dal babbo per la figura svelta e i modi affettuosi.
Appena arrivati, fecero grandi feste a’ miei padroni, e allorché dopo una mezz’oretta suonò l’ora del desinare, mangiarono tutti allegramente come se fossero stati della medesima condizione; è vero che i contadini servivano a tavola i loro padroni e stavano quasi sempre ritti; ma c’era tanta dolcezza nel comandare e tanta schietta allegria nell’obbedire, che era proprio una consolazione a vederli.
Dopo desinare, il signor Angelo volle visitare il podere insieme a Giampaolo e Geppino; la signora Clotilde andò con la Tonia, che a tutti i costi voleva farle ammirare certe belle lenzuola di lino greggio, filato in casa allora allora, e la Marietta con Alberto, che non si stancava mai di accarezzarmi, salirono su una specie di rustica terrazzina, dalla quale si godeva la ridente vista delle ben coltivate campagne.
Eran le sei e soffiava un ventolino piuttosto fresco; ma i due bambini non se ne accorgevano; io sì, però, e avrei dato non so che cosa per esser nel pollaio accanto alla mamma.
Ma Alberto, che fin dal primo momento, non lo dico per vantarmi, mi aveva preso subito a benvolere, seguitava a tenermi fra le sue manine, e di mandarmi a letto non se ne discorreva neppure.
La Marietta che sapeva le mie abitudini, ci pativa