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Il giorno di Capo d’anno c’era stato in casa un gran via vai di persone, e verso le sei, allorchè i miei padroni stavano per mettersi a tavola, il rumore d’una solenne scampanellata ci annunziò una nuova visita.

La serva andò ad aprire, e in capo a due minuti indovinate, bambini miei, chi vidi entrar nella stanza!

Niente meno che la signora Clotilde ed Alberto, proprio Alberto in carne e in ossa. Sul primo non badarono a me, intenti com’erano a dirsi fra tutti le cose più affettuose del mondo; ma quando si furono messi a sedere e che io andai a dare una timida beccata su lo stivaletto del caro Albertino, egli cacciò un grido di sorpresa, e volgendosi alla signora Clotilde, esclamò con vivacità:

― Mamma, guarda! Non è esso il nostro povero gallettino?

― Davvero! ― rispose subito la signora chinandosi e prendendomi in grembo ― è proprio lui, lo riconosco. —

Rivolgendosi quindi ai genitori di Masino, che la guardavano meravigliati:

— Da chi avete avuto questa bestiòla, amici miei?

― L’ho comprata la vigilia di Natale, in mercato, ― rispose il padrone.

― E da chi l’ha comprata, scusi?

― Ma! Da una specie di contadino che aveva, a dirla schietta, una gran faccia di birbone.

― Ho capito tutto, ora! ― esclamò la signora giungendo le mani ― era il ladro!

― Il ladro? ― domandò sorpreso il babbo di Masino ― o come va questa faccenda?

― Sappia, ― soggiunse la signora ― che l’anti-