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scarse comodità che potevamo esigere relativamente alle condizioni.

Una sera, dopo avere cenato, eravamo rimasti in quattro, seduti sopra la stuoia, fumando e conversando. Era una notte placida e serena; tratto tratto, fra il ronzio degli insetti, udivasi il ruggito delle fiere affamate, che cercavano d’avvicinarsi a noi e le cui urla spaventevoli venivano ripetute dall’eco fino a distanza portentosa. La conversazione s’interrompeva di quando in quando per dar luogo a delle interne meditazioni, nelle quali ognuno di noi facilmente cadeva.

Quand’ecco, una detonazione viene a destarci; detonazione susseguita da un urlo di iena. Olda-Salasciè, che stava di guardia allo steccato, si volse a noi, esponendoci la causa di quell’incidente. Una iena appunto erasi accostata, poco meno che cinquanta passi, alla cinta, e dirigeva le sue mosse verso uno degli indigeni che si era coricato al di fuori. Prima che la fiera gli fosse addosso, il bravo Olda l’aveva ferita mortalmente.

Alla mattina appresso ne trovammo infatti il cadavete a poca distanza, il quale fu dagl’indigeni sotterrato. Essi procedevano in quell’operazione otturandosi con la sinistra le narici e la bocca a motivo del pestilenziale odore che quello mandava. Gli stessi uccelli di rapina si astengono perfino dall’avvicinarsi ai cadaveri di quegli immondi e puzzolenti animali.

In pochi giorni il recinto era in piedi, e già pensavasi a dar mano alla costruzione delle capanne, al quale scopo gl’indigeni andavano e venivano dalla più vicina foresta per provvederci del legname occorrente. Quanto abbiamo sofferto per l’eccessivo ardore, non è si facile descrivere; conviene averlo provato per poter farsene un’idea. Costretti dunque da ciò, avevamo do-