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e collo sguardo rivolto alle capanne, si aggiravano quà e là come forsennate, invocando aiuto a lamentevoli strida.

Presi tosto il mio fucile e due pistole, senza molestare i miei compagni, che in mezzo a tutto quel fracasso non s’erano svegliati, seguii alcuni indigeni che mi spiegarono il motivo di quella confusione; vale a dire, che due leoni erano penetrati colle zampe a carpire due montoni e continuavano a devastare lo steccato per farvi nuova preda.

Appena fatti due passi, intesi dietro a me la voce del sig. Stella, allora svegliatosi, il quale mi richiamò, facendomi osservare non essere prudenza ch’io mi esponessi a quella impresa troppo arrischiata, e nella quale richiedevasi più la pratica dei luoghi che il coraggio e la forza.

Non ostante, cedendo alle istanze degl’indigeni, e pensando di contraccambiare così al beneficio dell’ospitalità, vi andai. Compresi tosto che costoro si fidavano più nel mio solo fucile che in tutte le loro lancie e scimitarre, e pel momento mi precedettero in numero di dodici, guidandomi fuori dello steccato.

Mi guardavano essi con istupore e compiacenza, non altrimenti ch’io fossi un eroe del Barka, e mi facevano intendere che si tenevano sicuri nella mia compagnia. Dopo alcuni passi, si fermarono e mi lasciarono passare avanti, mostrandomi, attraverso il buio, le due fiere che, alla vista degl’indigeni si rilevavano indistintamente; alla mia poi erano affatto irreconoscibili. Puntai, nondimeno il mio fucile nella direzione indicatami a mi avanzai tacitamente con essi.

Udiva, sovra il frastuono sollevato dagli abitanti, il ruggito dei due leoni abbastanza distinto, come del