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di raggiungere la carovana prima che la notte si fosse di molto inoltrata. E a notte fitta soltanto li potemmo alfine raggiungere.

Siccome erano rimasti dolenti ed in preda ad una crudele incertezza per tutto quel tempo, così non è a direi, qual gioia abbiano dimostrato nel rivedermi. Dopo molte scambievoli ricerche, io narrai per filo e per segno tutte le particolarità del mio smarrimento; e seppi che anch’essi avevano tirato parecchi colpi di fucile per avvertirmi; colpi ch’io non aveva certamente inteso. Dopo di chè, non vedendomi a ritornare, avevano inviato sulle mie traccie tre indigeni, due dei quali erano ritornati senza effetto, e il terzo, più fortunato, mi aveva trovato e ricondotto.

Egli aveva potuto seguire le mie prime orme, e indovinare la direzione che avevo presa. Quelli indigeni sono espertissimi dei luoghi e salvarono più e più volte di quei focosi cacciatori, i quali, se hanno in animo d’inseguire una bestia di qualsiasi genere, non l’abbandonano fin tanto che non l’abbiano raggiunta ed uccisa; non si curano affatto di tener conto delle strade che percorrono e finiscono con lo sviarsi, per modo, che senza il soccorso degl’indigeni, vi lascierebbero la vita.

Montai poco dopo sul mio somiero, chè ne avevo bisogno, per la eccessiva stanchezza, e proseguii il cammino colla solita compagnia per alcune ore. Dopo di che smontai e mi posi al passo, camminando sovra un terreno sabbioso, finchè raggiunsi insieme agli altri, una folta boscaglia, ricca d’alberi giganteschi e di spaziosi cespugli, i cui ramoscelli, attortigliandosi a quelli più grossi degli alberi, formavano una specie di porticato riparatore.

La notte era oscura; quando a quando l’urlo di