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guadagnata una battaglia od effettuato un saccheggio: essi erano rientrati assai malcontenti e sconcertati.

Non pertanto nell’animo dei soldati ed in quello del loro capo covava pur sempre la smania di cacciare gli Europei da Keren e da Sciotel; e qualche espressione aveva anche tradito l’interno sentimento di coloro.

Ciò eraci stato manifestato da uno dei servi arrivati, il quale consigliò per di più il padre Stella a non muoversi da Sciotel, sotto verun pretesto, nè solo, nè in compagnia.

Al 23 di mattina, il figlio di Gheremetim inviò a noi segretamente un messo, promettendoci che avrebbe fatto ogni sforzo acciocchè i soldati si fossero allontanati anche da Keren e rimanesse sgombra totalmente la via a piacer nostro, domandando un fucile per ricompensa.

Il messaggiero fu ricevuto con soddisfazione da Stella, il quale lo incaricò di ringraziare il figlio del generale della sua cortese esibizione; ma prima di consegnare il fucile, egli voleva essere assicurato in via di giuramento che le promesse sarebbero state mantenute.

Presso gli abissini, i giuramenti si tengono in nome del proprio principe, e sono osservati scrupolosamente. Per una legge del paese — almeno ai tempi del buon Teodoro — si condannava uno spergiuro, nientemeno che ad aver mozza la lingua.

Quando l’inviato partì da Sciotel per recare a Keren la risposta di Stella, questi spedì due indigeni al negus Desiaciailo, che a motivo del minaccioso contegno dei soldati di Gheremetim, i quali pure dipendevano da esso, avevamo ragione di sospettare ci fosse d’un tratto divenuto nemico. Quindi dovevano informarsi del motivo pel quale il negus corrispondesse con sì poca buona fede alle gentilezze ed ai favori che aveva da noi ricevuto.