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vano bene: si difettava di polvere, di vettovaglie e di denaro.
Gl’indigeni stessi, scoraggiati per la tardanza di Pompeo Zucchi, sul quale fondavano le loro speranze, lavoravano a malincuore e cominciavano a divenire intrattabili.
Fummo, per di più, minacciati d’un attacco per parte dei Marias e dei Démbelas; minaccia che ci diede non poco a pensare.
Finalmente il signor Stella decise di inviare ad essi due ambasciatori, scelti fra quelli che potevano esercitare una qualche influenza, specialmente sui Démbelas, e riferire ai loro Capi che il nostro stabilimento in Sciotel non ledeva minimamente i diritti d’alcuno, in quanto potevamo calcolarci appartenenti alla famiglia dei Bogos, e la massima parte della colonia era composta di indigeni.
Fece conoscere eziandio che noi desideravamo di mantenerci con essi nelle migliori relazioni possibili, e che da queste essi non avevano nè potevano sperare che vantaggi; ma i messaggieri ritornarono a noi colle risultanze di un semi-insuccesso.
È ben vero che della inimicizia dei Marias facevamo ben poco conto; ma temevamo dei Démbelas. E fatta pure astrazione della paura, non potevamo essere soddisfatti di trovarci in rapporti cotanto tesi verso tribù vicine e potenti, se non per mezzi, certamente pel numero e pei molti vantaggi che potevano avere sopra di noi. Passando di angustia in angustia e d’incertezza in incertezza, venne finalmente il giorno tanto sospirato in cui ricevemmo notizie dell’arrivo di Pompeo Zucchi a Massaua.