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IL TRADUTTORE



P

remetter lodi all’opera inglese di cui presento or la versione, sarebbe cosa affatto superflua. Chi non ha letto almeno una volta in sua gioventù il Robinson Crusoe? Chi non ricorda volentieri nell’età matura le care impressioni che ne ritrasse sin dall’infanzia? Non v’è quasi grande autore o filosofo che ove parli dell’uomo della natura o dell’onnipotenza dell’industria umana posta alle più dure prove, non citi or Venerdì, or Robinson col suo ombrello, or la scranna e le tavole che si fabbricava nella deserta sua isola. Si parla di Robinson come quasi si parlerebbe di Cook e di Laperouse. Pochi nella generalità sanno che sia vissuto Daniele de Foe, autore di questa storia e di altre prose e poesie reputate, di cui daremo qualche cenno in fine di questa edizione. Tutti s’immaginano di conoscere Robinson Crusoe.

Tanto più straordinaria apparisce una fortuna sì segnalata e durevole della predetta opera che, quando uscì, non erano molti fuori dall’Inghilterra i quali conoscessero la lingua inglese in