Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
memorie biografiche | 715 |
Daniele ebbe la fortuna di sfuggire impunito in mezzo alla turba de’ delinquenti di più alto conto. Nondimeno, in età più avanzata e quando una tal confessione ebbe cessato di esser pericolosa, si gloriò d’avere fatto parte di quella impresa nel suo Appeal to Honour and Justice (Appello all’onore e alla giustizia) nella qual opera dà conto della sua condotta ne’ pubblici affari.
Tre anni dopo (nel 1688) Daniele de Foe venne ammesso nel ceto mercantile di Londra. Ciò fu allor quando dopo essersi mostrato in ogni circostanza sì zelante partigiano della rivoluzione, ebbe la gioia d’essere spettatore del rilevante avvenimento che portò lo statolder d’Olanda sul trono degli Stuardi. L’Oldmixon nel secondo volume delle sue opere afferma che in un banchetto dato ai 29 ottobre del 1689, dal lord maggiore al re Guglielmo «Daniele de Foe fece la sua briosa comparsa in isplendida divisa tra i cavalieri comandati da lord Peterborough per accompagnare il re e la regina da Whiteall alle case di Mansion House.» Con tutto il suo cavalierato per altro e a malgrado della sua penna consacratasi con tanta fermezza alla causa del re Guglielmo, il nostro Daniele non arrivò a farsi conoscere da questo monarca di fredda tempera. «Dovea contentarsi (così il suo nemico Tutchin) al suo umile mestiere di calzettaio in Freemans-yard, Gornhill, e veder saggiamente che la corte può far senza trattati politici, mentre i cittadini non possono far senza calzette.»
Intanto con quella trista fortuna che è l’indivisibile compagna degli uomini di genio, ogni qual volta coltivano le facoltà del loro ingegno a scapito di quel senso comune sì necessario per mantenersi con certo credito in mezzo a questo mondo, che è il mondo di tutti i giorni, gli affari del de Foe andavano di male in peggio; perdeva il tempo che avrebbe dovuto impiegare nella sua bottega occupandolo per coltivare il suo spirito nelle amene lettere fra dotti uomini, e arrivò nel 1692 alla necessità di nascondersi ai suoi creditori. Uno di costoro più irritabile degli altri e men riguardoso per le amene lettere portò un’istanza perchè si procedesse contro di Daniele per fallimento. Fortunatamente pel nostro autore fu messa in tacere per le cure di quei medesimi, verso i quali era maggiore il suo debito, onde una transazione venne accettata. Mercè gli sforzi di una solerzia instancabile, non solo adempiè puntualmente i patti di questa transazione: ma, venuti di poi in angustia alcuni di quei creditori che gli avevano usata simile facilità, soddisfece per intero quanto ad essi dovea. Imprese indi una fabbrica di tegole in riva al Tamigi, presso Tilbury, ma con poco felice successo, onde i suoi nemici ebbero a dire: «Che dissimile dagli Egiziani i quali cercavano tegole senza loto impagliato, imitava gli Ebrei nel procurarsele senza pagare i suoi operai.» Congiuntamente alla fabbricazione delle tegole, il nostro autore, stimolato da una mente operosa e dalle imbrogliate sue circostanze, macchinò mille altri divisamenti ch’egli chiamava proposte. Quanti fogli di carta imbrattò di calcoli su la moneta inglese! quante proposte fece e di banchi per ciascuna contea e di casse di risparmio! Vi fa anche una proposta, ma debolmente sostenuta (potete crederlo) per istituire una commissione liquidatrice degli stati dei falliti; un’altra a soccorso dei poveri; la finì per ultimo pubblicando un lungo saggio generale su le proposte.
A que’ giorni all’incirca, nel 1693, gl’incessanti sforzi del de Foe, arrivarono a far sì che la corte si accorgesse un pochettino di lui, perchè fu nominato ragioniere negli ufizi della tassa su i vetri. Ma qui ancora ebbe che fare con la sua disdetta. Nel 1699 fu abolita la tassa, e perdè l’impiego.
Giunse finalmente l’istante in cui il sole del regale favore arrise alle espettazioni