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dianzi, non capiva dove mi fossi, perché mi trovassi sdraiato per terra, in somma in che modo stesse quella faccenda. Pochi momenti appresso, sentii dolore, benchè non sapessi dove. Recatomi una mano al capo, la ritrassi insanguinata; compresi ove mi dolesse, e in un subito, tornatami affatto la memoria, tutto il caso mi fu di nuovo presente.

Balzato immantinente in piedi, afferrai la mia spada, ma non vedeva più nemici. Trovai un Tartaro morto ed un cavallo vivo, che gli stava quietissimamente da canto. Guardando più oltre, si mostrò al mio sguardo il mio campione e liberatore, andato allora ad osservare che cosa aveva fatto il Chinese che tornava addietro con la sua scure fra le mani. Al vedermi in piede, quel povero uomo che m’avea temuto ucciso, corse ad abbracciarmi con eccesso di contentezza. Vedendo sgocciolare il mio sangue volle visitare ove fosse la mia ferita; ma non era gran cosa: era piuttosto un’ammaccatura derivata da quel maledetto pugno, ma che non porto gravi conseguenze; in fatti di lì a due o tre giorni fui perfettamente guarito.

Con tutta la nostra vittoria per altro non feci un grande guadagno: acquistai un cavallo e perdei un cammello. Un fatto singolare poi si fu quello che, tornati al villaggio, il Chinese armò la pretensione ch’io pagassi il cammello. La non mi pareva giusta, e dovemmo entrambi comparire davanti ad un giudice di pace Chinese. A dir