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58 | robinson crusoe |
inerpicatomi agli scogli della costa, a mio gran conforto mi trovai seduto su l’erba, fuor di pericolo e libero affatto dal timore che quivi l’acqua tornasse a sorprendermi.
Raggiunta allora in tutta sicurezza la terra, sollevai gli occhi al cielo ringraziando l’Ente supremo per essersi degnato di salvarmi la vita in tal caso, che pochi minuti prima non dava quasi luogo a qual si fosse speranza. Credo sia impossibile l’esprimere con adeguati colori quale sia l’estasi, quale il delirio di gioia d’una creatura che si veda sottratta come per un prodigio al sepolcro; nè mi maraviglio ora, se quando è stata decretata la grazia di un malfattore, da notificarsegli per altro sol quando legato e col capestro al collo sta per ricevere l’ultima scossa, si usa farlo accompagnare da un chirurgo che gli levi sangue all’atto di un tale annunzio, e questo affinchè la sorpresa della gioia non ne scacci gli spiriti vitali dal cuore e lo uccida, perchè si muore di piacer come d’affanno.
Con le mani alzate, e la mia vita, per così esprimermi, tutta assorta nella contemplazione del prodigio che m’avea liberato, io camminava qua e là per la spiaggia facendo mille atti e gesti che mi studierei indarno descrivere, e meditando su la probabilità che tutti i miei compagni fossero rimasti vittime delle acque, e che non vi restasse di quella brigata altro uomo salvo fuori di me. In fatti non vidi più mai in appresso veruno di essi, nè altro vestigio loro fuor di tre cappelli, un berrettone e due scarpe scompagnate.
Voltati gli occhi al vascello arrenato, che io poteva discernere di mezzo a qualche apertura delle alte e tempestose onde, e ciò a fatica, tanto era esso lontano, io andava meditando fra me: «Gran Dio; è egli possibile ch’io abbia toccata la spiaggia?»
Confortatomi così in pensando a questo lato favorevole della presente mia condizione, cominciai indi a guardarmi all’intorno, per vedere in qual sorta di paese io mi trovassi, e che cosa mi rimanesse a fare in appresso. Allora sentii tosto deprimersi le mie contentezze, perchè in effetto era bene spaventoso quel modo della mia liberazione. Tutto molle d’acqua, non aveva panni per cambiarmi, nè alcuna cosa da mangiare o da bere per ristorarmi; non vedeva dinanzi a me altro che il pericolo di perir di fame o di essere divorato da qualche fiera. Mi contristava soprattutto il non avere armi per andare a caccia d’animali pel mio sostentamento o difendermi contra creature di qualunque genere si fossero, che volessero uccidere me