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tale che può mettere in campo due milioni d’uomini, non sarebbe buona se non a rovinare l’intero paese e ridurre a morir di fame i combattenti, ov’essa si provasse ad assalire una fortezza della Fiandra, o a battersi con un esercito disciplinato. Una buona squadra di corazzieri tedeschi o di dragoni francesi tiene testa a tutta la cavalleria della China; un milione d’uomini di fanteria Chinese non può cimentarsi con un corpo di fanteria europea ordinato in battaglia, purchè questo si trovi in tal posizione, da non essere preso in mezzo, quand’anche la proporzione di numero fra i primi e i secondi superasse quella di venti ad uno; anzi ardisco di dire che trentamila fantaccini e diecimila uomini a cavallo tedeschi o inglesi, ben adoperati, potrebbero distruggere affatto la forza militare dei Chinesi.

Lo stesso dicasi quanto a piazze fortificate, e alla scienza di assalirle o difenderle. Non ve n’ha una sola nella China che potesse durarla un mese contra le batterie e l’assalto di un esercito europeo, mentre tutti gli eserciti chinesi messi insieme non arriverebbero a prendere in dieci anni di tempo una città forte come Dunkerque, semprechè fosse vettovagliata al segno di non essere stretta dalla fame. Hanno armi da fuoco, è vero, ma sono mal destri ed esitanti nell’adoperarle, oltrechè la loro polvere ha poca forza. Sono privi di disciplina i loro eserciti, mal pratici nell’assalire, disordinati nel ritirarsi; anzi confesso che quando tornai a casa rimasi stupito, non vi so dir quanto, all’udire le maravigliose cose che i miei concittadini divulgavano intorno ai Chinesi, perchè, da quanto ho veduto io, mi sembrano uno spregevole sordido branco di schiavi, soggetti ad un governo sol fatto per comandare a simile gente. Se una distanza sterminatamente grande non separasse Pekino da Mosca e dall’impero dei Moscoviti, popoli barbari e fino ad un certo segno mal governati come i Chinesi1, lo czar moscovita potrebbe facilmente snidarli dal loro paese e far la conquista di tutta la China con una

  1. È ben vero che, quando Robinson scrivea questo tratto della sua storia, era già salito sul trono degli czar chi gettò le basi della civiltà russa: civiltà per altro che, anche a’ dì nostri, non si estende infinitamente al di là delle due grandi metropoli. Ma oltrechè gli effetti d’un nuovo, ardito, grande sistema, inteso ad ingentilire una nazione di barbari, possono, generalmente parlando, essere scorti dai soli posteri, quello czar Pietro Alexiowitz, che fu sconfitto a Narva nell’ultimo anno del secolo io cui vivea l’autore della presente storia, non era per anche il fondatore di Pietroburgo, ii trionfatore di Pultava, il legistatore della Russia, in somma Pietro il Grande.