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perchè il libretto ove scrissi e il nome di quel paese e di molti altri, e ch’io mi recava sempre in tasca, ebbe le parole corrose dall’acqua cadendovi entro, cosa che dovrò narrare in appresso. Continuerò dunque a nominarlo Quinchang come faceva il mio Portoghese.

Poichè eravamo tutti d’accordo nella risoluzione di andare a questo Quinchang, levammo l’ancora nel dì seguente senza esser scesi alla spiaggia, se non due volte per provvederci d’acqua dolce. In entrambe queste occasioni gli abitanti del paese mostratisi civilissimi con noi ne portarono in copia cose per vendercele, intendo commestibili, come erbaggi, radici, tè, riso, alcuni uccelli, ma nulla senza pagarlo.

Grazie ai venti contrari vi vollero cinque giorni prima d’arrivare all’altro porto, che fa veramente di tutta nostra soddisfazione. Oh! come fui contento, come ringraziai Dio quando calcai col mio piede la spiaggia. Allora il mio socio ed io facemmo voto, che se riuscivamo a disporre di noi e delle cose nostre in un qualche modo che anche non ci avesse appagati, mai più saremmo entrati in quel bastimento della disgrazia. E veramente devo confessare che fra i tanti casi in cui mi sono abbattuto nella vita, non ne ho mai trovato uno si compiutamente miserabile come l’essere in una continua paura. È pur vero quel detto delle sacre pagine: La paura dell’uomo tende insidie all’uomo. Il vivere con la paura addosso è una vita di morte; la mente nostra n’è tanto oppressa che non ammette alcuna sorta di consolazioni.

Nè le insidie della paura mancarono certo di operare su la nostra fantasia coll’ingrossare agli occhi di lei i pericoli. In fatti, avevamo poi tutto questo gran motivo di rappresentarci i capitani inglesi e olandesi, come uomini affatto irragionevoli e incapaci di distinguere tra galantuomini e furfanti, tra una storia impastata di bugie e coniata a solo fine d’ingannare, ed una vera genuina relazione di tutto il nostro viaggio, del genere delle nostre spedizioni e dei nostri divisamenti? Perchè mille modi avevamo da convincere qualunque creatura dotata di ragione, che non eravamo pirati: le mercanzie che tenevamo a bordo, l’indole della nostra navigazione, la franchezza con cui per l’addietro ci eravamo fatti vedere ad entrare in questo e in quel porto, il nostro tratto, la poca forza che avevamo, il piccolo numero d’uomini, le poche armi, la scarsezza delle munizioni, e delle vettovaglie, tutte queste cose avrebbero convinto