Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
robinson crusoe | 497 |
fame nel secondo degli sfortunati bastimenti da me incontrati nel viaggio, ed anche la cameriera. Era questa una giovine tanto saggia, ben allevata, piena di religione e fornita di sì dolci maniere, che ognuno le diceva una buona parola. Dovea, se si ha a dire la verità, essersela passata piuttosto male nel nostro bastimento, ove non c’erano altre donne fuor di lei; pure si rassegnò a tale molestia di buona grazia. Dopo essere rimasti ella e il suo giovine padrone alcun poco nella mia isola, e veduto come tutte le cose vi erano in buon ordine ed in istato di prosperare sempre di più, considerando in oltre che non avevano affari nelle Indie Orientali, nè un motivo che gli spingesse ad imprendere un sì lungo viaggio, mi chiesero di poter rimanere quivi e di essere ammessi a far parte, com’essi dicevano, della mia famiglia, alla quale domanda acconsentii immediatamente. Venne per conseguenza assegnato loro un pezzo di terra ov’ebbero tre tende lavorate a vimini siccome la stanza di Atkins, presso la quale vennero innalzate. Furono ideate in modo le predette tende che ciascuna delle laterali era la loro separata stanza da letto, quella di mezzo una specie di guardaroba per riporvi le cose di ciascun d’essi e nella quale l’uno e l’altra convenivano pe’ giornalieri lor pasti.
Quivi trasferirono le loro dimore anche gli altri due Inglesi, con che la mia isola venne ad essere composta di due colonie e nulla più: quella cioè degli Spagnuoli che col vecchio Venerdì e co’ primi tre servi dimoravano nella mia fortezza protetta dal monte, sarebbesi detta la metropoli: quivi avevano estesi ed ampliati tanto i loro lavori, così nell’interno come al di fuori, che, se bene rimanessero celati ad ogni sguardo, vivevano assai al largo. Non si è mai dato l’esempio di una tal piccola città in mezzo ai boschi, tanto recondita che mille uomini, lo credo fermamente, avrebbero dovuto durarla un mese girando l’isola, e (semprechè non fossero stati avvertiti d’un tal nascondiglio, o non lo avessero cercato con deliberato proposito) non sarebbero giunti a scoprirlo. Gli alberi, già ve l’ho raccontato, erano sì folti, piantati in tanta vicinanza l’uno dell’altro, sì presti nel crescere, s’intrecciavano tanto fra loro, che sarebbe bisognato atterrarli per accorgersi dell’abitazione cui faceano riparo; chè quanto ai due angusti ingressi per cui si perveniva nell’interno, non era sì facile l’indovinarli. Un di essi era su l’orlo dell’acqua dal lato della piccola darsena, e lontano più di duecento braccia dal luogo, l’altro conveniva superarlo in due tempi con una