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Cielo e terra che congiurano contro i selvaggi; specie di civiltà derivatane a quelli che sopravvivono.



L

a sfortuna di que’ miseri non finiva qui. Un tremendo turbine levatosi dal mare la sera stessa rendeva ad essi quella via di fuga impossibile; anzi la burrasca essendo continuata tutta la notte, l’alta marea e i tempestosi cavalloni staccando i loro canotti, li trasportarono a tanta altezza sopra la spiaggia, che lor bisognava infinito tempo e fatica per rimetterli al mare, oltrechè alcuni di questi erano andati in pezzi o urtando la riva o battendosi l’un contra l’altro.

Benchè lieti della riportata vittoria, i coloni pensarono poco in quella notte a dormire, e dopo essersi ristorati alla meglio, risolvettero andare a quella parte ove s’erano rifuggiti i selvaggi, e vedere come costoro si mettevano. Ciò li trasse necessariamente a ripassare dal luogo ove principiò la battaglia, e ove giaceano parecchie di quelle povere creature non morte del tutto, ma poste fuor d’ogni possibilità di riaversi; vista disaggradevole quanto mai per animi generosi, perchè il vero grand’uomo, se bene astretto dalla fatal legge di guerra a distruggere il nemico, non s’allegra della sua calamità. Qui nondimeno non ci fu il caso di dar ordini intorno a ciò, perchè gli stessi selvaggi schiavi dei coloni con le loro azze levarono di stento quegl’infelici.

Finalmente giunsero alla spiaggia, ove trovavasi quel miserabilissimo rimasuglio d’esercito selvaggio che, a quanto appariva, si riduceva tuttavia ad un centinaio all’incirca d’uomini. La postura di quasi tutti quegli sgraziati era questa: seduti in modo che si toccavano con le ginocchia la bocca, e le ginocchia reggeano loro la testa che si teneano fra le mani.